Anche la Germania fece il suo accordo con i palestinesi
La strage di Monaco, e la gestione del caso da parte della Germania Ovest, sembrano ormai dimostrare un accordo simile a quello che si realizzò tra autorità italiane e movimenti palestinesi
Alle ore 1:30 del 6 settembre 1972 l’azione terroristica contro delegazione israeliana Olimpiadi di Monaco giungeva al suo tragico epilogo.
Da un articolo pubblicato su Il Riformista il 2 giugno scorso, della ricercatrice Giordana Terracina, appare chiaro dalla lettura dei documenti, come proprio i fatti di Monaco abbiamo rappresentato il primo passo verso una politica internazionale imperniata su degli accordi tra i governi e le organizzazioni terroristiche palestinesi, conosciuti come Lodi. Su questo cinquantesimo anniversario e sulla polemica che si è accesa, abbiamo voluto ascoltare la voce autorevole di Gianluca Falanga, storico e pubblicista, formatore e libero ricercatore presso il Museo della Stasi di Berlino e i Memoriali ex prigioni della Stasi di Berlino-Hohenschönhausen e Potsdam-Lindenstraße. Per le sue conoscenze e ricerche riguardanti la struttura organizzativa della Stasi e il suo operare, soprattutto per quanto concerne il terrorismo internazionale, è stato audito nel 2016 dalla commissione d’inchiesta convocata dal Parlamento italiano per indagare sul sequestro e sull’omicidio di Aldo Moro, in qualità di ricercatore espert0.
Recentemente c’è stata una conferenza stampa di Abbas, in cui ha ribadito che Israele non deve chiedere scusa alla Germania, probabilmente alludendo a degli accordi. Il rilascio degli attentatori di Fiumicino nel 1973, quando una bomba esplsoe a bordo di un aereo Pan Am (ne sono stati liberati due, poi altri due) in qualche modo ha delle somiglianze con il rilascio degli attentatori della strage di Monaco. Lei cosa ne pensa?
Era una modalità diffusa di gestione di quelle situazioni, in una fase in cui maturava la ricerca di un approccio pragmatico e politico alla sfida portata dal nuovo fenomeno terroristico. Non era tipica di un solo paese, ma diffusa praticamente in tutti i principali paesi dell’Europa occidentale che facevano conoscenza di questo genere di attentati.
Che livello di consapevolezza c’è in Germania sull’esistenza di questi accordi? Qui in Italia se ne parla da tempo…
Certo, in Italia se ne parla moltissimo, se ne parla da molti anni e in qualche modo, anche se ci sono ancora delle resistenze, determinati aspetti storici sono ormai evidenti e direi accertati. In Germania non vedo alcuna riflessione approfondita su questo tema. Sul rapporto coi palestinesi, in particolare coi gruppi terroristici, esiste un approccio degli storici che definirei pragmatico, nel senso che si dà per scontato che l’autorità politica dovesse trovare soluzioni per evitare danni. Non ho mai trovato nella letteratura storiografica tedesca riflessioni particolarmente approfondite sui risvolti politici che comportavano questi accordi di non belligeranza e il modo di gestire queste situazioni cedendo al ricatto. Vi è poi in Germania una certa opacità istituzionale, nel senso che a differenza dell’Italia, dove si fanno continuamente commissioni d’inchiesta, si declassificano documenti e si crea dunque una certa permeabilità, le istituzioni tedesche sono invece molto chiuse su questi aspetti di politica sotterranea, occulta, concedono molto poco ed esistono su questo specifico tema pochi documenti accessibili.
Lei pensa che non ci sia stato un cambiamento di atteggiamento delle istituzioni?
Bisogna dire questo: che la Germania (e sia chiaro parliamo della Germania Occidentale) nella stagione politica in questione, cioè nel periodo in cui avvenivano questi fatti, fine anni ’60 inizio anni ’70 e per tutto il decennio degli anni ’70, doveva tenere fede al rapporto di amicizia con Israele. Lo imponeva il riconoscimento delle responsabilità della Germania nazista e dei suoi crimini. Pertanto, il rapporto con i movimenti politico-militari palestinesi era qualcosa di molto delicato: gli spazi di manovra erano ancora più ristretti di quelli che potevano avere altri paesi. Ristretti rispetto all’opinione pubblica o comunque sul piano della politica ufficiale. A livello invece di politica non ufficiale, lontano da ciò che veniva reso noto all’opinione pubblica, c’erano margini per trovare delle modalità differenti di approccio al conflitto israelo-palestinese. Gli anni tra la fine dei ’60 e i ’70 sono stati gli anni della socialdemocrazia al governo nella Germania occidentale, il cui approccio era di dialogare con il mondo arabo, comprese le organizzazioni palestinesi. Dialogare con realtà che adoperavano il terrorismo, quindi dialoghi particolarmente delicati.
Si può dire che c’era un modus operandi della parte terroristica per creare destabilizzazione all’interno delle democrazie occidentali?