Sposarsi in tempo di guerra in Israele
Un matrimonio in Israele è l’occasione per alcune riflessioni sui tempi che viviamo
Ieri sono stato al matrimonio del figlio di un mio carissimo amico, a Tel Aviv: Michael e Benedetta – che vivono entrambi da tempo in Israele – sono stati sposati dalla “spina dorsale”della Rabbanut di Roma, Rav Riccardo Shmuel Di Segni, Rav Yoseph Pino Arbib e Rav Avraham Alberto Funaro.
E, nel momento più emozionante della cerimonia, con la Chuppah che ci regalava un ineguagliabile tramonto sul mare, non ho potuto fare a meno di pensare (ma dove va la testa, in certi momenti?) al sindaco di Bologna che ha esposto la bandiera palestinese dal Palazzo comunale della sua città. Inutile e superfluo chiedersi perché non abbia fatto lo stesso il 7 ottobre con la bandiera israeliana…
Peccato non fosse presente, magari come invitato, al matrimonio… Forse (dico forse) ci avrebbe ripensato e, sempre forse, avrebbe capito lo stato d’animo – degli ebrei, israeliani e non – in questo tempo di guerra in cui si celebrano (ancora e sempre) matrimoni.
In Israele, da sempre, la voglia di pace, di convivenza e di felicità, prevale su tutto, e tuttavia, in Israele, la via di mezzo, il compromesso – portatore di guai più gravi in futuro – non è mai piaciuto.
Con questo sentimento nazionale, sebbene trascinati in una guerra sanguinosa non voluta – che ogni giorno provoca morti e feriti nella gioventù – e nonostante che il nord d’Israele sia rimasto disabitato per evitare vittime civili, la società israeliana risponde con il Matrimonio che, oltre ad essere grande mitzvah, rappresenta l’aspetto più alto della resilienza ebraica.
Portiamo con noi le nostre ferite, ricordando che, oggi come un tempo, le alleanze e le amicizie sono fondamentali per affrontare il male. Per riemergere dalle tenebre alla luce: questa è la storia ebraica. Superiamo il male attraverso l’unità e, non meno importante, grazie ai legami e alle profonde amicizie e, nelle ore più buie, dalla persecuzione nazifascista alla strage di Hamas, il popolo ebraico comunque riesce a guardare avanti.
Le voci e le parole dei Rabbanim, che celebrano un rito antichissimo e prezioso, calmano la mia anima inquieta – che vaga avvolta dalla luce di un tramonto accecante – e aprono un sempre nuovo e rinnovato varco tra noi e il Divino. Ne abbiamo tutti bisogno, consapevolmente o meno.
In realtà, ammettiamolo, abbiamo pochissimi luoghi fisici, nel mondo, che ci accolgano per celebrare i nostri riti e le nostre sacre ricorrenze, ma di tempo, tempo dello spirito e della preghiera, oh, di quello ne abbiamo tanto, tantissimo, infinito e circolare.
E le parole, già, le parole del Rito matrimoniale e anche altre parole (ieri sera tutte le parole si intrecciavano, con significanze arcane): qui, in Israele, diciamo insieme vinceremo; ma chi è incluso in insieme?
Insieme Ebreo? Insieme Israeliani? Insieme di chi vuole la pace? Insieme a chi cerca la luce?
Forse dovremmo iniziare a decodificare le parole. Ma non oggi, domani.
Oggi c’è la cerimonia del matrimonio, con il suo fortissimo impatto emotivo e visivo che ci ricorda di rispettare e di non perdere tradizioni antiche e forti. La sua celebrazione è coinvolgente, ricca di usanze, rituali, nenie e litanie, è un’unione spirituale tra due persone e rappresenta l’adempimento dei comandamenti del Signore.
Oggi Israele non è guerra a Gaza, non è gioventù in divisa senza anima. Oggi si crea una nuova famiglia e, senza dimenticare quelle distrutte e gli ostaggi, si continua a guardare al futuro.
La vita, alle volte, diviene un turbine di impegni, obblighi e incertezze, ma oggi è un universo completo in se stesso e possiede in sé sentimenti ed emozioni, tocca corde differenti, che se ne stavano lì, tranquille, sopite, prima di cominciare il Rito.
Mi accorgo che solo così, solo attraverso il Rito, possiamo recuperare il giusto abbandono verso la Vita e ricominciare di nuovo tutto da capo.
Il Rito matrimoniale di Michael e Benedetta, così bello e compiuto nella sua perfezione, mi induce quella sensazione dolce-malinconica, quel delicato senso di perdita, quel piacevole struggimento che vorremmo sempre replicare… Mi sento come travolto da una tensione fisica che genera il mondo attorno a me.
Il fatalismo non appartiene all’anima ebraica, ma l’ostinazione e la nostalgia, quelle sì.
E oggi parlo anche di uno struggimento, di una melancolia agra e dolce alla fine, con la sensazione di incrociare qualcosa di immenso, che travalica la nostra vita, la supera e assurge a caposaldo per manifestare tutto, mentre fisso le onde che – lente – si increspano sul bagnasciuga.
E non posso evitare di pensare a tutte le vite che abbiamo perso, dal 7 ottobre in poi. A chi non c’è più, agli ostaggi, ai nostri giovani al fronte – tutti celebravano ogni giorno la Vita e l’Amore, come noi, questa sera.
C’è forse bisogno del giusto periodo, un tempo di cura, per guarire dalla fine, ma voglio ancora stupirmi delle cose semplici, sorridere, perché dopo il dolore la vita continua, perché, quando provi un dolore insopportabile devi pensare che la vita va avanti e vivere con il sorriso.
Resistono gli affetti che non hanno bisogno del tempo materiale, i rapporti che non hanno bisogno di essere nutriti dal tempo materiale.
Per questa sera, evitiamo di dividerci in buoni e cattivi, anche se mai nella storia così tanti si sono trasformati in utili strumenti di un asse del male.
Decido di non farmi risucchiare e, con parole antiche, non chiedo miracoli o visioni, ma la forza di affrontare il quotidiano, di preservarci dal timore di poter perdere qualcosa della vita, di non darci ciò che desideriamo ma ciò di cui abbiamo bisogno, di insegnarci l’arte dei piccoli passi.
Mazal Tov, Michael e Benedetta!
Acquista il libro “Donne del mondo ebraico italiano”