Reshet: una rete solidale per le piccole comunità ebraiche

Da qualche mese è all’opera un nuovo progetto Ucei per le piccole comunità. Ne abbiamo parlato con l’architetto Daniele De Paz, presidente della comunità di Bologna

Presidente de Paz, la comunità bolognese è al centro di un recente progetto finanziato dall’Ucei: Reshet. Di che si tratta?

l’architetto Daniele De Paz

Reshet, in ebraico “rete”, è un progetto che coinvolge, oltre a Bologna, comunità capofila, anche Verona, Ferrara, Mantova, Parma e Modena. Si tratta di un progetto avviato lo scorso settembre, ma che nasce in precedenza, principalmente allo scopo di consentire l’aggregazione fra piccole comunità ebraiche relativamente vicine (più o meno un’ora o meno di macchina l’una dall’altra), nelle quali in maggioranza manca stabilmente la figura di un rabbino, allo scopo di metterle insieme per usufruire di servizi comuni.

È stato facile realizzare il progetto?

Esso ha richiesto la necessità di una stretta collaborazione, non solo fra tutti i presidenti delle comunità coinvolte, ma anche con Ucei e l’assemblea rabbinica. Alcuni ostacoli si sono presentati e hanno richiesto di essere superati. C’era infatti il timore di una sovrapposizione tra incarichi, così abbiamo dovuto spiegare che invece l’obiettivo del progetto era solo quello di fare rete tra piccole comunità, soprattutto al servizio dei più giovani e dei meno giovani, con l’obiettivo di creare nuove relazioni e rafforzare quelle esistenti. Naturalmente non è sempre facile inserirsi nei programmi già approvati dalle singole comunità, ma l’idea è quella di affiancarci con un’offerta che possa integrarsi con quella già presente nelle singole comunità.

Reshet è il progetto finanziato da Ucei per fomnire un aiuto alle piccole comunità, garantendo una rete per organizzare iniziative sociali comuni

Come funziona in particolare il progetto?

L’obiettivo, come ho detto, è quello di creare momenti comunitari che riguardassero le comunità coinvolte, e di realizzare un sistema aggregato, che facilitasse la partecipazione dei singoli scritti. Ciò è possibile naturalmente non se si agisce in maniera occasionale, ma al contrario progettando un programma culturale di livello. Per questo il progetto ha usufruito anche della consulenza e del contributo di rav Roberto della Rocca, capo del dipartimento cultura dell’Ucei, e del suo staff.

A quanto ammonta il finanziamento dell’ucei?

A 30.000 €.

Come mai Bologna e la comunità capofila del progetto?

Abbiamo da subito sostenuto e promosso il progetto anche in altre comunità con l’obiettivo di coinvolgere non solo gli iscritti, ma anche tutti coloro che gravitano intorno alla comunità, come ad esempio gli studenti israeliani. Le piccole comunità infatti hanno la necessità di non disperdere neanche una singola unità. Bologna si è candidata a fare capofila anche sulla base di precedenti “esperienti”.

Chi è il referente del progetto?

Il tempio di Bologna

È Marco del Monte, che si muove partendo da Bologna e toccando le altre comunità (Ferrara, Mantova, Modena, Parma e Verona), sia in cui è assente la figura del rabbino, sia quelle in cui è presente, ovviamente in massima collaborazione.

Quali sono risultati già raggiunti?

Lo scorso Tu-be Shvat, il capodanno degli alberi, siamo stati capaci di organizzare una cena con ben 80 persone. Il momento conviviale, da questo punto di vista, è essenziale. In precedenza un’altra iniziativa si è tenuta per hanukkah, a Mantova.

Quali sono i prossimi apuntamenti di Reshet?

Il prossimo obiettivo è realizzare il seder di Pesach. Ma prima ancora ci rivedremo a Bologna per Purim, dove aspettiamo chiunque vorrà venirci a trovare,

È possibile provare a tirare le fila dei risultati fino ad ora raggiunti?

Il tempio di Modena, altra comunità coinvolta dal progetto Reshet.

Il bilancio è senz’altro positivo. La cosa più importante è avere attirato moltissimi giovani. Partendo da Bologna, siamo riusciti a coinvolgere innanzitutto gli studenti israeliani, arrivando così ad avere in alcuni shabbat tra le 40 e le 50 persone, anche al di fuori delle iniziative legate a Reshet. Questo significa che il progetto ha poi la capacità di avviare un percorso virtuoso che mantiene i legami fra le persone. In più anche gli iscritti alla comunità, quelli che meno sono presenti, vengono interessati da questa capacità di attrazione e si ritrovano in comunità più frequentemente. La cosa più bella è vedere tornare famiglie con bambini, facendo esperienza di momenti di vita ebraica. Ciò rafforza il senso di appartenenza all’ebraismo e alla propria comunità e questo è quello che volevamo realizzare.

Vedi la presentazione di Reshet

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