Cinquanta anni dall’attentato di Fiumicino: una strage dimenticata
Il 17 dicembre 1973 32 persone rimasero uccise sulla pista dell’areoporto di Fiumicino per mano di un attentato palestinese: era l’inizio di un’ondata di violenza che imperversò in Europa per un decennio
L’associazione “Memoria e Verità per le vittime del terrorismo” ha presentato il libro Lo sparatore sono io, scritto da Antonio Campanile, l’agente di polizia che rispose al fuoco dei terroristi dal tetto dell’aeroporto, Nuccio Ferraro e Francesco Di Bartolomei. Un libro che racconta la terribile giornata dell’attentato a Fiumicino del 1973, in cui persero la vita 32 persone (di cui 6 italiani) e 17 rimasero ferite, della quale quest’anno ricorre il cinquantenario.
L’attentato avvenne non a caso nell’anno della guerra del Kippur (6-25 ottobre 1973), in cui Israele si trovò costretta ancora una volta a combattere per la propria esistenza contro degli Stati arabi. Una vittoria ebraica che segnò anche il distacco del terrorismo palestinese da quello di matrice araba, inteso come terrorismo di Stato. L’invincibilità dello Stato ebraico agli occhi degli Stati arabi comportò un cambio di prospettiva che sfociò anni più tardi negli accordi di pace con l’Egitto e la Giordania. Una volontà dunque di intessere delle relazioni che riguardassero anche il campo politico, arrivando a influenzare le correnti dei partiti presenti nei territori di Gaza e Cisgiordania. Un’apertura che non poteva sostenere invece l’Olp di Arafat, impegnato a ritagliarsi un suo spazio nella galassia palestinese e a recuperare il rapporto con le masse presenti nei territori, dopo la sconfitta subita in Giordania e la conseguente fuga. L’unica via percorribile per il leader palestinese rimaneva quella del terrorismo, finanziata e sponsorizzata sempre e comunque dagli Stati arabi, decisi a destabilizzare Israele. Qui entrarono in gioco l’Egitto, l’Iraq, la Libia e la Siria in una spirale di violenza fatta di omicidi, attacchi a terra e dirottamenti. Tuttavia la sconfitta di Israele doveva passare necessariamente per l’Europa, dove era necessario attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei Governi.
Infatti il 1973 è stato anche l’anno del petrolio usato come arma di ricatto dai Paesi produttori ed esportatori, basti pensare al viaggio in Europa dei ministri del petrolio algerino e saudita, in cerca di appoggi politici alla causa palestinese.
E Arafat anche appoggiato dall’Urss comprese l’importanza di questo passaggio. In questo percorso si innestarono l’arrivo nel continente del Rasd, il servizio segreto del leader e di Settembre Nero. Organizzazioni terroristiche che permettevano libertà di movimento ad Arafat senza apparire direttamente. Pensiamo all’attentato all’oleodotto a Trieste del 4 agosto 1972, alla strage di Monaco del 5-6 settembre 1972 e infine all’attentato a Fiumicino del 17 dicembre 1973.
In un documento del Ministero dell’Interno, Ufficio Affari Riservati del 14 dicembre, tre giorni prima dall’attento a Fiumicino del 17 dicembre, si parlava di intenti e attività terroristiche alla viglia della Conferenza di Ginevra sul Medio Oriente e della visita del Segretario di Stato USA sempre nel Medio Oriente, proiettate a portare appunto la questione palestinese al centro del dibattito internazionale. Pressioni in questo senso derivavano dalla Libia, dall’Iraq e dalla Siria, Stati interessati a sabotare la conferenza di Ginevra.
In tale ambito si mosse soprattutto la Libia che aveva iniziato a collaborare con il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina dopo l’abbattimento dell’aereo libico sul Sinai avvenuto nel febbraio 1973. Il punto di contatto, tra le diverse organizzazioni era rappresentato dalla comune volontà di combattere Israele anche all’estero, ma è bene sottolineare che, proprio per tale ragione, la cooperazione si estendeva solamente agli elementi del FPLP che si occupavano di operazioni all’estero e non costituiva una collaborazione istituzionalizzata tra il FPLP e la Libia, un inciso questo che molto racconta del mondo delle alleanze tra i diversi gruppi di terroristi.
Diversamente e dunque non ancorato alla programmata Conferenza di Ginevra, venne interpretato l’attentato da parte del Ministero dell’Interno, che in un altro documento evidenziava come, secondo una fonte qualificata, l’attentato a Fiumicino sarebbe stato commesso in sostituzione di un’altra operazione già programmata. L’idea originaria era quella di sequestrare due aerei, uno della TWA, ma a causa di uno sciopero della compagnia la scelta ricadde sull’aereo della Pan Am e l’altro dell’Alitalia, la cui partenza per New York era prevista nella stessa mattina del 17 dicembre. Il gruppo incaricato di prendere l’areo italiano avrebbe dovuto prima rapire a Roma un noto funzionario, per poi portarlo a Fiumicino e usarlo come ostaggio.
Le armi e gli esplosivi come da accordi gli sarebbero stati consegnati nella sala transito dell’aeroporto romano, tramite un bagaglio precedentemente depositato. Tuttavia qualcosa non funzionò come avrebbe dovuto e il primo gruppo perse il controllo della situazione, provocando la strage. Era comunque previsto di non attaccare in nessun caso alcun aereo dell’Air France, anche se presenti nelle vicinanze, a prova della vicinanza della Francia rispetto alla causa palestinese.
In un successivo appunto del 14 gennaio 1974 venne fatta luce sulle dinamiche della strage, riportando i nomi dei terroristi, quali Ahmad ‘Abd Al-Ghaffur, ex ufficiale di Al Fatah, che risiedeva in Libia dal 1969. Durante l’estate del 1973, Al-Ghaffur chiamò a raggiungerlo per l’addestramento un altro membro di Al Fatah, Abu Nizar, che si trovava in Kuwait, per programmare delle azioni terroristiche e quest’ultimo a sua volta coinvolse altri quattro terroristi.
Un ulteriore considerazione riguarda inoltre la preparazione per le giornate del 14-15 dicembre 1973, ancora a ridosso dell’attentato a Fiumicino, di un altro vertice europeo che si sarebbe dovuto svolgere a Copenaghen. Un documento preparatorio, del 21 novembre 1973, prodotto dal Ministero degli Affari Esteri, lasciava intravedere la posizione italiana. Soffermandosi sulla parte che interessa il discorso qui proposto, emergevano le posizioni di Francia e Inghilterra, favorevoli a costruire un dialogo con i Paesi arabi ricchi di risorse petrolifere, a fronte di una diffidenza dell’Olanda (annoverata tra i Paesi nemici dagli Stati arabi) e della Germania.
Da ciò si evince che la coesione della CEE era minacciata dal diverso livello di amicizia che legava i Paesi arabi ai diversi Stati e che rendeva difficoltoso il crearsi di una politica comune, in grado di affrontare le sfide di pace e stabilizzazione legate alla regione mediorientale. Era necessario per l’Europa riuscire a guardare oltre la dichiarazione di Copenaghen, iniziando a considerare la questione palestinese come problema politico, da affrontare nelle opportune sedi, traducendola nel riconoscimento legale di un rappresentante della questione palestinese entro ogni singolo Stato dell’Europa e che avrebbe dovuto significare un’apertura verso un canale di dialogo autonomo.
Infine rimane da riportare la ricostruzione operativa delle motivazioni che portarono all’attentato e che risalgono al 5 settembre 1973, quando a Ostia vennero arrestati cinque terroristi palestinesi trovati in possesso di alcuni missili Strela. Due dei terroristi furono subito rilasciati il 31 ottobre, Ali Al Tayeb Al Fergani e Ahmed Ghassan mentre gli altri tre, Amin El Hindi (importante dirigente di Al Fatah, braccio destro di Abu Ayad e uomo di raccordo tra Carlos e il Fplp), Gabriel Khouri e Mohammed Nabil Mahmoud Azmi Kanj, dovettero aspettare il mese di marzo, quando riacquistarono la libertà dietro pagamento di una cauzione di 20 milioni l’uno, pagata dai servizi italiani. Un rilascio che avvenne dopo la strage a Fiumicino, giorno in cui si stava tenendo la prima udienza del loro processo, rimandata il 14 dicembre.
Dunque un attentato compiuto anche per richiedere la liberazione dei terroristi ancora reclusi nelle carceri italiane.
Ed è proprio soffermandosi su questo passaggio che si comprende la difficoltà nello scrivere e affrontare questo evento, che ha rappresentato, l’accordo concluso tra il Governo e le organizzazioni terroristiche palestinesi diretto a garantirgli libertà sul territorio europeo in cambio dell’immunità dagli attentati. In questo caso specifico si fece riferimento alle pressioni che Moro esercitò sul presidente del Tribunale affinché venisse concessa la libertà provvisoria ai terroristi.
Una scelta politica che non riguardò solo l’Italia, ma coinvolse diversi Stati europei che decisero di scendere a patti con i terroristi, pensando di salvaguardare la popolazione da attentati. Una popolazione in cui però non rientravano i cittadini israeliani, intesi anche come ebrei o sionisti e americani.
Una politica europea spinta da ragioni economiche e non solo, che diede i suoi frutti anche sul piano più allargato dell’Onu, come appare dai dati sotto citati:
21 ottobre 1974 incontro ufficiale tra il ministro degli Esteri francese a Beirut e Arafat descritto sulle pagine del New York Times come un riconoscimento ufficiale.
28 ottobre 1974 a Rabat l’Olp venne proclamato rappresentante ufficiale del popolo palestinese.
13 novembre 1974 Arafat parlò davanti all’Assemblea generale dell’Onu.
22 novembre 1974 le Nazioni Unite concessero lo status di osservatore all’Olp.
10 novembre 1975 l’Assemblea generale approvò una risoluzione in cui si equiparava il sionismo al razzismo e istituì il Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese.
Ultima data per non dilungarmi troppo, 4 gennaio 1978 il presidente Carter riconobbe il diritto legittimo del popolo palestinese e la necessità che esso avesse parte alla determinazione del proprio futuro.
Un elenco seppur concentrato negli anni che qui interessano, ma da cui si può evincere come il terrorismo abbia pagato in termini di visibilità e apprezzamento la causa palestinese, portandola al centro di un dibattito mondiale i cui effetti sono oggi purtroppo sotto gli occhi di tutti.