L’antisemitismo, oggi
L’Osservatorio sull’antisemitismo ha da poco pubblicato il nuovo rapporto sulla situazione italiana. Ne abbiamo parlato con il direttore del CDEC, Gadi Luzzatto Voghera
Gadi, cominciamo da una domanda preliminare. Il report sull’antisemitismo elaborato dall’osservatorio che fa capo al CDEC adotta la stessa definizione di antisemitismo elaborata da IHRA?
Sì, è la stessa. Anche se riconosciamo che la definizione di antisemitismo elaborata da IHRA non è perfetta, ci sembra comunque una buona base di partenza su cui lavorare, soprattutto ormai condivisa da molti stati, enti e istituzioni.
Il rapporto sull’antisemitismo comincia evidenziando alcuni dati su povertà, disoccupazione e NEET (Not in Education, Employment or Training: ossia quella categoria di persone senza lavoro, senza formazione, senza istruzione). Che relazione c’è tra le condizioni socio economiche di un paese e il tasso di antisemitismo?
Il rapporto, elaborato da Betty Guetta, responsabile Osservatorio antisemitismo, e dai ricercatori Stefano Gatti e Murilo H. Cambruzzi, parte da un punto di vista che io condivido molto, ossia che l’antisemitismo possa essere compreso non semplicemente elencando una serie di dati e numeri, ma mostrando la capacità di comprendere come le varie espressioni antisemite presenti nella rete o nel mondo reale nascano da un humus che viene generato da una serie di fattori. In altre parole, occorre saper collegare il fenomeno dell’antisemitismo con le grandi crisi in atto nelle società moderna: la crisi pandemica, l’emergenza ambientale, la crisi economica, per non parlare della guerra. Sono tutti fattori che alimentano gli elementi strutturali dell’antisemitismo. Essi sono causa della paura dell’ignoto, che a sua volta foraggia il complottismo e una generale incertezza nei confronti del presente. Abbiamo quindi voluto orientare l’osservatorio e il Report partendo da questi punti di vista. I ricercatori che ci hanno lavorato hanno condiviso questo approccio che consente di contestualizzare i numeri, che pure sono importanti, legandoli alle varie manifestazioni di antisemitismo.
L’uso dei social oggi è uno dei maggiori strumenti per propagare l’antisemitismo. Come è possibile prevenire le fake news, che si diffondono soprattutto fra i più giovani?
La domanda che tu poni, relativa al grado di consapevolezza da parte degli adolescenti circa l’enorme numero di fake news che circola nel mondo dei social, non ha trovato ancora una risposta, perché riguarda un tema sul quale siamo soltanto all’inizio della ricerca, e che attiene non solo all’antisemitismo, ma in generale a ogni discorso d’odio; pensa ad esempio al bullismo. Per quanto riguarda le piattaforme su cui corre l’antisemitismo, il rapporto evidenzia come quella più usata riguardi Telegram, un social che ha base in Russia così come l’altro, pure molto utilizzato, VK. Entrambe queste piattaforme hanno la stessa caratteristica, ossia sono prive di moderazione. In altre parole non si propongono di diffondere né di attenersi ad alcuna etica comportamentale, e si comportano conseguentemente come una specie di Deep web in versione aperta. In altre parole, su tali piattaforme è possibile che circolino le peggiori manifestazioni di antisemitismo, senza alcun filtro.
E per le altre piattaforme?
Altrove è diverso. Sebbene si tratti di soggetti che hanno come obiettivo quello di aumentare i propri utili economici, e quindi sono comunque tentati di aumentare il numero di visitatori e di utenti, anche a costo di diffondere linguaggi d’odio, tuttavia, da alcuni anni social come Twitter, Facebook, o Tik Tok hanno accettato sia di darsi un codice comportamentale che mette dei limiti ai messaggi che possono circolare, sia di interloquire con soggetti istituzionali allo scopo di individuare e rimuovere i messaggi d’odio. Vorrei ricordare al riguardo il lavoro di Milena Santerini, nella sua qualità di coordinatrice per la lotta all’antisemitismo, che ha avuto il merito di prendere contatti con i vertici di Google, ottenendo maggiore attenzione nell’individuare i messaggi d’odio.
Per tornare ai lavori dell’Osservatorio, cosa emerge dalla vostra ricerca sull’uso dei social?
Il CDEC ha prodotto uno strumento, “noi vs. loro”, che monitora 16 piattaforme. Quel che ne è emerso è che ormai gli antisemiti seriali hanno imparato che le piattaforme maggiori applicano dei filtri ai loro messaggi d’odio, e quindi hanno elaborato delle tattiche per aggirarli. Ad esempio è possibile entrare in piattaforma con il nome di Arturo Gobelli, che altro non è se non l’italianizzazione del nome di Goebbels, e quindi diffondere messaggi antisemiti, magari in codice. C’è poi il caso di Tik Tok, che non permette sempre di individuare casi di antisemitismo: ad esempio, se viene postato un ballo, il cui messaggio è chiaramente antisemita, la piattaforma non riesce a individuarlo come tale.
Cosa si può fare in questi casi?
Il CDEC ha lavorato facendosi accreditare come soggetto titolare per le segnalazioni di antisemitismo, cosicché il nostro compito è quello di setacciare tali piattaforme, individuare episodi di antisemitismo, e segnalarli al gestore affinché li rimuova.
Immagino che si tratti di un lavoro non semplice.
No, non lo è. Non solo per il numero incredibile di messaggi che circola nella rete e che richiede di essere esaminato. Non dobbiamo inoltre dimenticare che, a fronte della lotta all’antisemitismo, sul piano giuridico occorre anche salvaguardare il diritto a manifestare il pensiero, il che spesso porta a valutazioni della magistratura che non ci soddisfano, perché non vengono perseguiti comportamenti che noi riteniamo espressioni di antisemitismo.
Lo Stato d’Israele, sempre in lotta per la difesa della propria sicurezza, rischia di alimentare l’antisemitismo sulla rete?
Una volta pensavamo che le vicende legate al Medio Oriente fossero una componente molto forte nell’alimentare l’antisemitismo, e che quindi, al contrario, con l’indebolirsi di quelle tensioni si sarebbe determinato anche il diminuire del linguaggio antisemita. Francamente non mi sembra che siamo in questa situazione. La stragrande maggioranza di espressioni antisemite che oggi rintracciamo non hanno a che fare con il Medio Oriente, ma provengono piuttosto dalla destra estrema, neonazista e fascista, o suprematista. C’è però da considerare un elemento pur presente nella rete, ma che al momento non riusciamo ancora a misurare pienamente. Mi riferisco a quel che circola sui siti in lingua araba, dove il monitoraggio è ancora a un livello parziale e non del tutto attendibile. Sappiamo per certo che anche in Italia circolano messaggi antisemiti attraverso questi canali, ma non riusciamo ancora ad averne una percezione adeguata. Si tratta di messaggi in cui è forte il pensiero antigiudaico, soprattutto alimentato da una vecchia retorica legata al conflitto Israele palestinese.
Se vediamo alcune delle principali accuse mosse dagli antisemiti ci si rende conto che i luoghi comuni sono sempre gli stessi: la ricchezza, le lobby, la cospirazione. Non è sconsolante?
La mia idea e che il modello cospirativo, applicato dagli antisemiti agli ebrei, sia in realtà un modello tipico del linguaggio contemporaneo. Esso cioè non riguarda solo gli ebrei perché è un linguaggio funzionale alla politica di oggi, alla lotta politica contemporanea. Noi siamo preoccupati delle tesi cospirazioniste contro gli ebrei, ma un discorso molto simile è fatto anche in altri ambiti, utilizzato da alcuni partiti politici contro i loro antagonisti. Purtroppo la politica italiana non è affatto immune da tale meccanismo.
Poi ti chiederò qualcosa anche sulla politica italiana. Prima però vorrei farti un’altra domanda. Come mai a un alto tasso di conoscenza del 27 gennaio non corrisponde una diminuzione dell’antisemitismo? In altre parole: cosa è andato storto?
Occorre distinguere. Che l’istituzione del giorno della memoria sia stato efficace mi sembra essere un dato acquisito. A fronte di una maggiore conoscenza di quel che è stata la Shoah qualcuno si è illuso che ne sarebbe derivata una diminuzione dei livelli di antisemitismo nella società contemporanea. La realtà, purtroppo, è che non c’è una piena connessione fra i due dati. L’antisemitismo segue da sempre altri canali, che prescindono dalla Shoah e dalla conoscenza di essa. L’antisemitismo esisteva prima della Shoah, e continua ad esistere nonostante che si faccia tanto per far conoscere l’orrore di quello che è stato. Si arriva così al risultato paradossale che, nei momenti dell’anno dove è più forte il richiamo alla nostra coscienza civile, come il 27 gennaio, o anche il 25 Aprile, si registrano i picchi di episodi di antisemitismo, quasi che le date simbolo della nostra democrazia facciano da catalizzatore dell’odio antisemita.
Ci sono politiche efficaci contro l’antisemitismo?
Come ho detto prima, a mio parere l’antisemitismo è un linguaggio funzionale al mondo contemporaneo, per cui la sua permanenza è una costante, il che non ci deve portare a considerare persa la partita, ma al contrario a un continuo lavoro di ricerca e contrasto. Dobbiamo considerare che, per una serie di decisioni politiche anche sorprendenti, il mondo istituzionale, sia italiano che europeo, ha finalmente deciso di affrontare il problema. Oggi disponiamo di una strategia europea contro l’antisemitismo, che influenza l’adozione di strategie nazionali, mirate a un intervento educativo continuo nelle scuole e nei corpi della società, per aiutare a riconoscere e combattere le varie forme di antisemitismo. Si tratta di un’azione che sta dando i suoi frutti. Ti sembrerà forse strano, ma il CDEC riceve quotidianamente segnalazioni di comportamenti o messaggi antisemiti non da parte di ebrei, ma di non ebrei che vorrebbero la persecuzione giudiziaria degli antisemiti.
Tocchi così un tema che riguarda il tipo di risposta dare all’antisemitismo. Da poche settimane c’è un nuovo commissario per la lotta all’antisemitismo, avendo il governo sostituito la professoressa Santerini con il prefetto Pecoraro. Secondo te questo significa che l’Italia sta puntando più alla repressione che alla prevenzione dell’antisemitismo?
Il lavoro di Milena Santerini, vista la sua formazione accademica, si è indirizzato soprattutto sulla prevenzione, riuscendo a mettere in campo strumenti molto importanti, soprattutto nel mondo della scuola, che sono sicuro continueranno a fare il loro corso. Questo governo, al contrario, ha fatto una scelta che è più nelle sue corde. Un governo di destra, infatti, predilige perseguire altri obiettivi, altrettanto sensibili, come ad esempio quello della sicurezza. Ho avuto modo di parlare con il prefetto Pecoraro, e ho ricevuto l’impressione di un uomo attento, che sta studiando la questione, rispetto alla quale è almeno in parte digiuno, e che soprattutto, conoscendo l’ambiente dello sport, in particolare quello calcistico, potrebbe incidere in modo importante proprio in quel settore, uno dei principali ricettacoli dell’antisemitismo.
Vorrei tornare alla politica italiana. Come è noto Elly Schlein è stata oggetto di pesanti attacchi antisemiti anche da chi ricopre cariche istituzionali. La politica italiana che responsabilità ha nel diffondere certi comportamenti e certi linguaggi d’odio?
I discorsi d’odio nella politica italiana sono talmente diffusi e insopportabili che hanno raggiunto ormai livelli vergognosi. La politica da un lato istituisce una commissione parlamentare che si occupa dei discorsi d’odio, dall’altro ogni giorno allestisce teatrini imbarazzanti, in cui il pregiudizio, l’odio, il body shaming è costante. Sull’antisemitismo manifestato nei confronti di Elly Schlein, la cosa che mi colpisce è che esso viene veicolato anche dal mondo della comunicazione. La scorsa settimana il Fatto Quotidiano si è permesso di pubblicare una caricatura della Schlein degna del periodo nazista, espressione del più puro antisemitismo. Per i tanti antisemiti che operano nel nostro paese è considerata non solo ebrea, ma anche ashkenazita. Sta cioè emergendo una retorica fondata sul complottismo più bieco. È come se si volesse rimproverare Elly Schlein non solo di essere ebrea, ma di appartenere anche a una casta superiore, quella degli ebrei ashkenaziti, che controllerebbero la finanza. Alcuni mezzi di comunicazione veicolano questo linguaggio d’odio. Occorre denunciare la pericolosità del linguaggio d’odio soprattutto nel mondo della comunicazione, che sta mostrando un’impreparazione imbarazzante per contrastarlo.
Se Elly Schlein riuscirà a conquistarsi un ruolo politico nazionale di prim’ordine dovremo aspettarci un aumento degli attacchi antisemiti nei suoi confronti?
Premesso che i dati ci mostrano non un aumento dell’antisemitismo, ma un aumento della sua visibilità, Io credo che Elly Schlein si dovrà presto attrezzare per rispondere a questo tipo di accuse. Dovrà rispondere, perché altrimenti rischierà di rimanere sorpresa dagli attacchi che le arriveranno, proprio come tanti ebrei assimilati che nel 1938 ritennero che la persecuzione non li avrebbe riguardati. Il linguaggio antisemita non guarda in faccia nessuno e dunque arriverà il momento in cui anche lei dovrà prendere posizioni più consapevoli su questo tema.
Leggi il Rapporto sull’antisemitismo 2022
Una risposta
Conosco e stimo la prof.Sto arrivando! Santerini. Mi meraviglio però che in un suo intervento parlò solo di antisemitismo di estrema destra e del’antisemitismo cattolico fondamentalista, non di quello di sinistra e islamista! Cosa che mi meravigliò molto!
Quindi….