Il rabbino e il gatto
Manuela Dviri ritorna sui luoghi dell’attentato del 7 ottobre. E scopre una storia che fa meditare
L’incertezza è il problema maggiore.
Cosa succederà oggi? Dove? In che modo? Chi alla vita e chi alla morte? Siamo di nuovo partiti, il mio Abraham e io, in una giornata torrida, la più calda negli ultimi ottant’anni, per il luogo dell’attacco del sette ottobre, per i kibbuzim Beeri, Kfar Aza, Reim, Zikim, o meglio, per i vari accampamenti militari in zona: avevamo in macchina un carico di ventilatori per i soldati lungo quella strada.
Della strage non era rimasto nemmeno il segno di ciò che vi era avvenuto sei, quasi sette mesi fa, e non ci è sembrato il caso di entrare nei kibbutz per turismo dell’orrore. Abbiamo invece incontrato soldati. Molti soldati. Tutti riservisti. E anche piuttosto scalcinati, con pance straripanti da magliette troppo strette. Molti capelli grigi, parecchie barbe, capelli lunghi raccolti con un elastico.
Tutti felicissimi per i ventilatori.
Sono lì in attesa di entrare a Gaza per combattere. Forse per l’attacco a Rafah. Forse no. Abbiamo cercato anche il food truck per un caffè ma non c’era più.
Anche la settimana scorsa con la mia amica Lidia Bagnara, grande fotografa, ci eravamo fatte accompagnare da Abraham al deserto del Negev incrocio a quello della Giudea. Per strada ci eravamo fermati a bere un caffè nel punto ristorazione gratis per civili e soldati lungo la strada, un food truck. Mentre mio marito andava in bagno, ci siamo messe a chiacchierare con la giovane barista, che ci ha raccontato che il suo è il lavoro più interessante che ci sia e che le succede, al suo punto ristoro, di tutto e di più. E per dimostrarlo ci ha voluto raccontare una storia.
“Alcuni giorni fa sono passati di qui due uomini, si sono salutati e via. Poi uno, proprio come suo marito, è andato in bagno e l’altro mi ha chiesto se conoscevo quello che si era allontanato.
“No” ho risposto.
“Allora le racconto chi è. Era un rabbino militare e durante la guerra gli era stato chiesto di andare a cercare il corpo di un soldato morto in combattimento per poterlo portare a degna sepoltura. Lui si è inoltrato nella zona nemica senza far troppi problemi ma i suoi comandanti dopo pochi minuti gli hanno chiesto di tornare indietro che era troppo pericoloso. Non sapeva cosa fare, e aveva la sensazione di dover assolutamente continuare. A quel punto gli si è avvicinato un gatto. Lui ha guardato il gatto e il gatto ha guardato lui e ha miagolato come se volesse dirgli qualcosa. E poi il gatto gli ha fatto strada e sempre miagolando lo ha portato fino al corpo del soldato.
Al ritorno è stato di nuovo accompagnato dal gatto e una volta arrivati il gatto se ne è andato”.
“E lei ci ha creduto?” le ho chiesto.
“Stentavo a crederci. Invece poi è uscito quello lì dal bagno e io gli ho chiesto se era vero. E lui ha detto di sì che era vero. Che era lui quello della storia del gatto. Gli ho chiesto se faceva ancora il rabbino militare e lui mi ha detto di no. E se ne è andato. Certo che questa storia mi ha davvero scombussolata. Continuo a pensarci. Una bustina di zucchero? Latte caldo o freddo?”
Subito dopo ci siamo rimessi in cammino per il nostro viaggio nel deserto. Che è stato bello e importante. Perché dopo mesi di rumore incessante lì era silenzio. Un silenzio assoluto, rarefatto, onirico. Ne avevamo bisogno.
La notte, alle tre di mattina, ci ha svegliato il rumore di aerei che ci passavano sopra la testa.
Dicono che sia più o meno l’ora dell’attacco israeliano all’Iran, la risposta a quello subito la settimana precedente dagli ayatollah. Chissà. Non so.
E stamattina ci hanno dato la sveglia dei pappagallini verdi davanti alla finestra. Mai visti fino ad ora.
Amici del gatto?
26 aprile 2024
(nella foto di copertina: Manuela e suo marito Abraham nel food truck del racconto)
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Una risposta
Seguo “Riflessi di Menorah” da qualche tempo su indicazione di un’amica, e le riflessioni che pubblicate mi aiutano a capire qualcosa della situazione fra Israele e Palestina, cosa non facile, almeno per me.
Questo articolo mi è piaciuto in modo particolare, e sono a chiedervi di poterlo ospitare nella rubrica che curo sul sito di ADUC (www.aduc.it) e che si chiama “La pulce nell’orecchio”.
Vi metto qui due link di miei articoli recenti
https://avvertenze.aduc.it/lapulce/salvaguardare+scambi+scientifici+artistici+sportivi_37355.php
https://avvertenze.aduc.it/lapulce/donne+insieme+pace_37323.php
Mi farebbe davvero molto piacere poter fare conoscere ai miei lettori (anche se forse non sono tanti) questa bella narrazione.
Ringrazio dell’attenzione, e, sperando in un Vostro consenso, Vi invio cordiali saluti e auguri di buon proseguimento e di pace.
Annapaola Laldi