Marco De Paolis, premio Exodus

Forse non quanto si sarebbe potuto fare. Ad esempio, sarebbe stato utile costituire un pool dedicato a ricercare i colpevoli, finché erano in vita, ma questo non è mai stato fatto. Le confesso che a volte ho provato un po’ di imbarazzo, quando da un lato chiedevo e ottenevo la collaborazione delle autorità tedesche e austriache, e dall’altro ero consapevole che il mio paese non era stato mai molto solerte nel ricercare la verità.

È per questo che i processi non si sono svolti prima, quando sarebbe stato più agevole trovare le prove e i responsabili dei crimini?

La targa commemorativa della strage di Cefalonia

Questa è una pecca che non ha chiare ragioni. Quando ho cominciato a indagare, oltre il novanta per cento dei fascicoli era stato “accompagnato” all’archiviazione. In alcuni casi avvenne anche di peggio. Non dimentichiamo che anche l’Italia ha le sue responsabilità, per alcune gravissime stragi compiute contro i civili nei Balcani e in Grecia. Anche in questi casi non fu fatto un serio tentativo di trovare i responsabili, anzi a volte i fatti contestati furono inspiegabilmente qualificati in modo meno grave; qualcuno sostiene per ottenerne di fatto la prescrizione. Cosa ha determinato un generale lassismo è difficile dire. In generale, c’è stata una generale sottovalutazione da parte del corpo della magistratura militare. In altri casi può aver contato la ritrosia a impegnarsi in processi lunghi e difficili; non escluderei neppure un deficit culturale che non ha permesso di percepire la necessità, anche a distanza di molto tempo, di fare giustizia.

Può escludere che, almeno in alcuni casi, il silenzio caduto sulle stragi sia stato “suggerito” anche dalle istituzioni politiche del nostro paese?

Senza potermi riferire ad alcun caso concreto, non posso però escludere che questo possa essersi verificato.

E i suoi colleghi? Le hanno mostrato solidarietà?

In vent’anni di ricerca e di processi talvolta è successo che soprattutto i colleghi più anziani mi abbiano concretamente espresso il loro apprezzamento per la mia attività; per il resto, a volte in effetti ho avvertito molta solitudine.

A suo avviso, Germania e Italia hanno fatto chiarezza con quegli avvenimenti? Abbiamo davvero fatto i conti con il passato?

Per quel che riguarda l’Italia, a volte, quando me lo chiedo, mi rispondo che forse no, non c’è stata ancora una piena consapevolezza della responsabilità italiane per tutti gli eccidi e le complicità avute. In Germania è diverso: se da un lato lì ci sono state maggiori ammissioni, è anche vero che la responsabilità del paese fu molto più marcata.

Ora che gli ultimi criminali sono deceduti, e che rimangono in vita i familiari delle vittime, cosa può farsi, a suo avviso, per rendere loro giustizia?

Il criminale nazista Erich Priebke

Auspico una soluzione politica, che veda cioè convolti gli Stati direttamente interessati, in modo che si stabiliscano entità e casi per cui si ha diritto al risarcimento.

Un’ultima domanda. Ancora oggi, in un certo pensiero comune, riaffiora l’idea che quei militari, mentre uccidevano centinaia di cittadini inermi, in fondo stessero “solo” eseguendo degli ordini. Come si ribatte a questo modo di pensare?

Mi sembra che questa idea che talvolta serpeggia ancora sia espressione di un pensiero così semplicistico che spesso nasconde una forma di negazionismo. Le faccio un esempio: anche l’Inghilterra, nella sua storia coloniale, ha dovuto rispondere alle azioni violente di chi cercava di sottrarsi al giogo dell’Impero. Solo i soldati nazisti reagirono però alla guerra partigiana con rappresaglie efferate e totalmente sproporzionate: dunque non furono costretti a farlo, e per questo oggi non è possibile difendere la loro scelta come l’esecuzione di un ordine.

* si ringrazia per l’aiuto Guido Coen

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