Ghedalià, il digiuno che ci fa riflettere sull’oggi

Perchè dopo due giorni di festa il nuovo anno continua con un digiuno? In questo articolo rav Ascoli ci permette di riflettere su eventi del passato e, purtroppo, su quelli del presente, perchè se ne possa fare tesoro

“Dopo due giorni di pasti abbondanti, un bel digiuno ci sta bene!”

il Tempio di Salomone

Giudizio scherzoso e ingeneroso su Tzom Ghadalià che tuttavia ben rende l’idea di un digiuno difficile da capire, che rimane all’ombra di eventi maggiori, Rosh haShanà e Kippur. Cerchiamo allora di rendere un po’ di giustizia a questa ricorrenza.

Il digiuno di Ghedalià ricorre il 3 di Tishrì, ossia il giorno dopo Rosh haShanà. È uno dei digiuni di istituzione rabbinica i quali, con l’eccezione del 9 di Av, si rispettano dall’alba al tramonto e non per una giornata intera. Rientra nella serie dei digiuni in ricordo della distruzione del Santuario[1]: l’inizio dell’assedio, il 10 di Tevèt; la breccia, il 17 di Tammuz; la distruzione, il 9 di Av; l’uccisione di Ghedalià, il 3 di Tishrì.

Dopo la distruzione del Santuario stesso e la deportazione di gran parte del popolo ebraico ad opera dei babilonesi, furono proprio i babilonesi a mettere Ghedalià a capo di quell’ultimo residuo di rappresentanza ebraica in Israele, rappresentanza certo ben lontana dal costituire un’indipendenza. Ghedalià venne ucciso da un manipolo di ebrei, su incarico degli Ammoniti. Seguirono ulteriori stragi e infine l’esilio anche di questo sparuto residuo ebraico in terra di Israele. La storia, riportata nel libro di Geremia (capp. 40-41), contiene passi drammaticamente attuali, nei quali vale la pena riconoscere almeno le seguenti tematiche:

rappresentazione del 9 di Av
  • L’uccisione di un leader ebreo per mano di ebrei;
  • L’indecisione, in questo caso del leader stesso, nell’agire in modo preventivo;
  • L’eccessivo “legalismo” e la “paura di peccare”, indecisione questa che ha portato poi a drammi assai maggiori;
  • L’ambivalenza nei confronti di una situazione di rappresentanza che non corrisponde, ed è anzi lontana, da una piena sovranità.

Sono molti i paralleli con i brani aggadici del Talmud relativi alla distruzione del secondo Santuario, quasi a sottolineare che il problema si ripropone ed è difficilissimo da sradicare: le esitazioni di rabbì Zecharià ben Avqulas[2], le divisioni interne, il ricorso alla violenza. Sono racconti che vogliono mandare un messaggio anche al lettore contemporaneo.

Anche il rapporto con le “nazioni del Mondo” è emblematico: dai tempi di Geremia – che si dimostrò favorevole alla pur misera rappresentanza ebraica rimasta – a rabbì Yehudà haNasì -con i suoi ottimi rapporti con l’imperatore romano, sotto la cui protezione il suo Sinedrio godeva di grande autonomia – alla fondazione del moderno stato ebraico sotto l’egida dell’ONU.

14 maggio 1948: Ben Gurion proclama la nascita di Israele

C’è un principio espresso dai nostri Maestri per il quale “le cose buone vengono fatte accadere in un giorno di buon auspicio, quelle brutte in un giorno infausto”.

Questo risponde prima di tutto a un’esigenza pratica: siccome non ogni giorno può essere un giorno particolare, vengono accumunate in un’unica data tutte quelle ricorrenze che possono essere celebrate e ricordate insieme.

Ma vi è anche un significato profondo in questo approccio: vanno cercati elementi comuni fra eventi recenti (recenti almeno nel momento in cui vengono istituiti) e grandi eventi del passato, e su questi elementi occorre riflettere.

iscrizione babilonese

È così che ad esempio, come a tutti noto, il 10 di Tevet è “il digiuno per i deportati”. In questo modo, anche cose apparentemente secondarie occorse nel passato recuperano tutta la loro portata. È un approccio già riportato come dato di fatto nella Mishnà, dove si fanno confluire nel 17 di Tammuz cinque avvenimenti infausti e altri cinque nel 9 di Av.

Ecco allora una carrellata non esaustiva di accoppiamenti successivi, moderni o meno, alcuni noti, altri meno; alcuni ufficialmente proclamati, altri rimasti tentativi di limitato successo:

il 9 di Av e la cacciata dalla Spagna; Yom Yerushalaim e il giorno della alyà etiope; i giorni dello ‘òmer che, oltre a condurre da Pesach a Shavuoth, contengono Yom haAtzmaut e yom Yerushalaim. E per contrasto lo ‘òmer come periodo luttuoso: al ricordo della morte degli allievi di rabbì Aqivà di cui riferisce il Talmud si associò quello dei massacri compiuti dai crociati; il digiuno di Ester e il “giorno delle ‘agunot” (le donne che non riescono a ottenere il ghet, il divorzio); il digiuno di Ghedalia e l’assassinio di Y. Rabin.

Yitzach Rabin (1922-1995),assassinato da un ebreo fondamentalista mentre era primo ministro

Concludiamo con questa ultima coppia, dato che è del digiuno di Ghedalià che stiamo parlando: l’inesattezza storica nella data dell’assassinio di Rabin può far storcere il naso ai puristi, ma consente invece (dovrei dire, con rammarico e maggiore aderenza alla realtà: avrebbe consentito) di salvaguardare l’essenza della gravità dell’atto e delle sue nefaste conseguenze anziché diventare tristemente un evento divisivo nella coscienza collettiva israeliana.

Con l’augurio di saper iniziare l’anno con intento conciliatorio e collettivo e soprattutto, di riuscire a riflettere sulle radici profonde degli accadimenti, di oggi come di ieri.

[1] Come noto, la tradizione afferma che tanto la distruzione del primo Santuario quanto quella del secondo

siano avvenute il 9 di Av. Le date dell’assedio sono invece diverse, e a questo riguardo noi osserviamo i digiuni in quelle relative alla distruzione del secondo Santuario, vuoi perché più vicina nel tempo e più carica di conseguenze che ancora ci coinvolgono, vuoi perché “definitiva” (senza qui entrare nel come e quando ci sarà il terzo Santuario). Quanto al digiuno di Ghedalià, infine, ci si riferisce a un episodio avvenuto dopo la distruzione del primo Santuario e non ha un parallelo nel secondo.

[2] Rabbì Zecharià ben Avqulas era la massima autorità normativa ebraica dell’epoca della distruzione del secondo Santuario. Egli era venuto a sapere che un ebreo, per vendicarsi di un affronto subito, stava tramando una calunnia ai danni dell’intero popolo ebraico. Questi avrebbe infatti dimostrato all’imperatore che gli ebrei si rifiutavano di offrire in sacrificio un animale che l’imperatore stesso aveva inviato perché fosse offerto al Santuario: per fare ciò, provocò un piccolo difetto all’animale. Rabbì Zecharià si oppose all’eliminazione di questo individuo e non volle nemmeno considerare la possibilità di offrire lo stesso l’animale in considerazione delle circostanze. Il motivo che egli addusse fu per evitare che la gente traesse conclusioni sbagliate rispetto ad alcune regole relative ai sacrifici: ecco dunque che il formalismo prevalse causando di fatto, così afferma il Talmud, la distruzione del Santuario.

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