Canto contro i pregiudizi
Maurizio Di Veroli da anni realizza il progetto di mettere in musica la cultura e la lingua ebraica. A Riflessi spiega com’è nato “Progetto Davka”
C’è una parola ebraica che risulta praticamente intraducibile: DAVKA
Può significare “fare qualcosa appositamente”, ma anche “fare qualcosa a dispetto di”, o “fare qualcosa in controtendenza” e altri significati ancora.
È per questo che ho scelto come nome del mio gruppo musicale proprio “Progetto DAVKA”, perché volevo una parola che esprimesse l’esperienza ebraica, la quale… è appunto intraducibile!
Nella sua intraducibile originalità, il popolo ebraico ha dato e continua a dare un grande contributo all’umanità. Progetto DAVKA vuole allora ravvicinare questo popolo “intraducibile” al pubblico, usando come strumento la musica.
Vogliamo così usare la cultura per sfatare miti e pregiudizi che si sono accumulati sugli ebrei nei secoli, usando la musica come un’opportunità di conoscenza, nel rispetto delle peculiarità di ciascuno.
Ho fondato Progetto DAVKA 17 anni fa. Ne fanno parte un gruppo di 5 elementi, più collaboratori occasionali, che mi supportano, accompagnandomi in questa straordinaria avventura. È curioso che, dei musicisti che compongono il gruppo, solo io sia ebreo; gli altri sono cattolici, protestanti, buddhisti, non credenti; in passato ha partecipato anche un musulmano, con cui ho duettato nella sala Nervi nel 2019 (https://youtu.be/GR5bUSoUYYY) . Questo è stato possibile anche perché la tradizione ebraica non ha velleità di imporsi agli altri e al contrario è molto aperta all’incontro con le altre culture. La vivace partecipazione degli strumentisti ne è testimonianza.
È quindi frequente, soprattutto durante le nostre trasferte, vedere come ognuno si ritagli i suoi momenti di preghiera, meditazione o semplicemente riflessione, per poi incontrarsi sul palco col piacere di portare ciascuno il proprio contributo artistico. Ma sono anche molto lieto di organizzare delle cene di Shabbat o di Pesach a casa mia, per permettere ai miei collaboratori di fare almeno una volta l’esperienza diretta di un momento così centrale nella vita di un ebreo. «Ti faccio entrare in casa mia per farti vivere ciò che suoniamo», è quello che dico loro quando li invito. Insomma, è per me un modo per far conoscere un popolo, aprendosi agli altri.
Ma come si fa a combattere il pregiudizio? In questi anni ho realizzato degli spettacoli che sono dei veri e propri viaggi virtuali negli aspetti più comuni o più curiosi della tradizione, narrati e illustrati attraverso i canti che li raccontano, dandoci l’opportunità di farli conoscere meglio sia nel mondo ebraico ma anche all’esterno.
Ogni brano è quindi una tappa di un itinerario significativo per la cultura e la spiritualità, itinerario a volte di carattere più generale e altre volte più specifico.
Penso, ad esempio, allo spettacolo “La Cantica del Mare”, una raccolta di brani di musiche ebraiche dalle comunità lungo le coste del Mediterraneo. Oltre all’ebraico, lingua principe dei nostri concerti, il nostro repertorio spazia tra brani nelle lingue delle diaspore ebraiche: Ladino, Yiddish, dialetti ebraico-italiani, Persiano, Giudeo-arabo vanno per la maggiore, ma anche una canzone sefardita su musica irlandese o una musica israeliana cantata in lingua giapponese, che testimoniano la capacità ebraica di adeguarsi nei territori che lo hanno accolto gli ebrei, contemporaneamente mantenendo chiara la propria identità e però aprendosi a culture diverse.
Un altro spettacolo molto richiesto è “In vino very tanz”, uno spumeggiante percorso eno-musicale in cui illustriamo come il vino accompagna il popolo ebraico in ogni sua celebrazione. Secondo me c’è un po’ il senso profondo dell’ebraismo in questo concerto, perché mostriamo come l’ebraismo non pratichi l’astensione dai piaceri materiali, ma li utilizzi con una regolamentazione volta ad elevarli spiritualmente. Così spesso presentiamo lo spettacolo associandovi una degustazione di vini kasher, nella speranza di appagare anche la gola oltre le orecchie. I ritmi sono incalzanti. Il klezmer si alterna a brani dalla Torah, le cantigas a brani in Bagitto o in Giudaico piemontese, riarrangiati in una nostra versione che li vuole associati a brani popolari sul tema del vino.
Ci esibiamo anche all’estero. Anni fa siamo stati invitati ad Amsterdam e San Pietroburgo per dei festival di musica liturgica. Abbiamo così voluto far conoscere lo straordinario repertorio delle musiche ebraiche italiane. Da queste esibizioni è nato “I-Tal-Yah. Risvegli nella rugiada divina”, una raccolta dei canti più belli delle nostre comunità, presentati sia in versione tradizionale che con delle digressioni nei ritmi moderni, come il jazz e il tango. Associati alcuni canti nei dialetti ebraico italiani, sono confluiti in un cd con lo stesso titolo.
Infine, nel nostro viaggio non potevamo non parlare di Shoah, ma ovviamente abbiamo scelto di farlo in modo alternativo.
È così che ho realizzato “Anche gli elefanti leggono i tarocchi”. Il paradosso vuole stimolare la curiosità su come il popolo ebraico mantenga vivo il ricordo della più grande tragedia della storia, ma al contempo cerchi di guardare al futuro con ottimismo, attraverso il ritorno alla vita, agli affetti e alla spiritualità.
In questi tempi di pandemia siamo stati costretti a limitare tantissimo il numero delle nostre performance in presenza. Oltre ad alcuni concerti on line e qualche video casalingo (www.youtube.com/progettodavka), ho colto comunque l’occasione per scrivere dei nuovi spettacoli. Uno in particolare sul tema della luce, che vorremmo presentare in occasione della festa di Chanukka, nella speranza che possa essere anche un segnale di ottimismo della fine di questo periodo buio.
Insomma, alla base del nostro lavoro c’è un continuo lavoro di ricerca musicale, che nasce dalla consapevolezza che la musica non è solo suono, ma anche un veicolo per trasmettere verso le future generazioni l’importanza di sviluppare la propria identità nella riscoperta delle prprie radici e nell’ospitalità.
Attraverso “Progetto Davka” esprimo il mio un ebreo ortodosso, che studia Torà e Talmud, che frequenta la sinagoga, e che dà voce all’ebraismo vivo, che costituisce la mia vera identità. Insomma, pratico l’ebraismo tutti i giorni e non potrei non portarlo anche sul palcoscenico.
Per chi volesse saperne di più, “Progetto Davka” può essere seguito sui social: