Un maestro contro i muri
Rav José Faur ha contribuito a unire lo studio della Torà con le cosiddette “scienze esatte”, come ci spiega in questo intervento rav Di Martino
Nel 2020, a parte la pandemia COVID che ha cambiato il mondo in generale, abbiamo perso alcuni giganti della Tora che hanno lasciato un vuoto enorme nella nostra comunità allargata. Alcuni molto conosciuti come Rav Jonathan Sacks z’l o Rav Adin Steinsaltz z’l, ed altri meno conosciuti ma non meno importanti, come il Rav Nachum Eliezer Rabinovitch z’l et il Professor “Hacham” José Faur z’l, morto nel giugno 2020 all’età di 85 anni e sepolto a Netanya, in Israele, di cui mi accingo a scrivervi basandomi su fonti pubbliche, testimonianze di suo figlio Abraham e suo nipote il Rabbino Yossi Bitton e dalle lunghe conversazioni personali che ho avuto l’onore di avere con lui per telefono quando ancora si usavano i gettoni e esistevano i telefoni pubblici…
Il padre del Prof. José Faur, Abraham Faur, z ”l, arrivò a Buenos Aires da Damasco, in Siria, intorno al 1915. La sua casa era una tradizionale casa ebraica; Tefillin, Kashrut, Kiddush, Sinagoga di Shabbat, Seder di Pesach, ecc. Ma non si dedicò allo studio di Torà, principalmente perché come la maggior parte degli ebrei immigrati in Argentina della sua generazione, trascorreva tutto il suo tempo lavorando molto duramente per sostenere tutta la sua famiglia: genitori, suoceri, moglie e figli. Ma suo padre, Yossef Faur, era uno studioso di Torà, e portò con sé alcuni importanti libri di Torà da Damasco. Non era in grado di camminare e quindi non poteva lavorare. Così, è diventato il primo insegnante di suo nipote, che diventerà il professor “Hacham” José Faur, z “l.
Il principale insegnante del prof. Faur era Hacham Eliyahu Freue, z “l, che emigrò da Damasco in Argentina. Il Prof. Faur diceva che Hacham Freue lo ha trasformato in un anello della catena dei rabbini sefarditi, come il rabbino Isaac Abulafia (Pené Yitzhak) e altri luminari. L’altro suo insegnante era il Rabbino Eliyahu Suli, z” l, che all’epoca era più giovane del Rabbino Freue, ma della stessa scuola di pensiero. Suo nonno e questi due eruditi di Buenos Aires, insegnarono al Professor Faur tutto ciò di cui aveva bisogno per costruire la propria ricchezza intellettuale, per il resto della sua vita: ebraico biblico e rabbinico e aramaico, che conosceva alla perfezione; la metodologia talmudica sefardita così come presentata dal rabbino spagnolo medievale Isaac Canpanton; e la tradizione halakhica e filosofica sefardita, come esposta da Maimonide.
Riguardo ai suoi insegnanti, il Professor Faur diceva:
“Non hanno mai assunto un atteggiamento arrogante nei confronti dei loro studenti o di chiunque altro. Erano accessibili a tutti e incoraggiavano opinioni contrarie e discussioni libere. La verità era il risultato di uno sforzo collettivo in cui tutti avevano pari accesso e condivisione, piuttosto che essere imposto da un individuo di mente superiore. Seguendo la tradizione educativa sefardita, l’insegnamento era metodico e completo. Prima di iniziare a studiare il Talmud, ci si aspettava dall’alunno una solida conoscenza della Scrittura, Mishnayot, la famosa antologia En Yaaqov, lo Shulkan Aruck e altri testi ebraici fondamentali”.
Inoltre, tutto il suo apprendimento della Tora era stato fatto in arabo, e la conoscenza di quella lingua diventò un fattore chiave per lui per studiare e scrivere sulle opere di Maimonide, in particolare il suo More Nevukhim, che era in grado di leggere e capire nella sua lingua originale: il giudeo-arabo.
La cosa più incredibile è che abbia acquisito tutte queste conoscenze intellettuali e formative durante l’infanzia e l’adolescenza, probabilmente tra gli 8 e i 16 anni. E alle spalle del padre, poiché in quei tempi di grande povertà, non si vedeva di buon occhio che un giovane si dedicasse allo studio della Tora, perché la gente doveva lavorare molto per sopravvivere.
A 17 anni, nel 1952, il giovane José Faur lasciò l’Argentina e fu assunto come preside di un Talmud Torà in Messico.
Dopo un anno e mezzo lascia il Messico e arriva negli Stati Uniti. Prima di compiere 20 anni entrò all’Accademia Rabbinica, che è ancora la più grande al mondo oggi, la Yeshivà di Lakewood, in New Jersey. Lì studiò tra molti altri sotto uno dei rabbini più famosi e influenti del XX secolo, il famoso Rabbino Aharon Kotler, z ”l.
Il Professor Faur raccontava che:
“La prima lezione che ho ascoltato dal rabbino Kotler è stata una rivelazione. Parlava rapidamente, in yiddish, una lingua che non conoscevo ma che potevo capire perché conoscevo il tedesco. Citava un gran numero di fonti da tutto il Talmud, collegandoli in diversi arrangiamenti e mostrando le varie interpretazioni e interconnessioni delle successive autorità rabbiniche. Sono rimasto abbagliato. Mai prima d’ora ero stato esposto a una tale serie di fonti e interconnessioni. Tuttavia, c’erano alcuni punti che non andavano d’accordo. Una volta mi avvicinai a R’ Kotler per discutere la lezione. Era sorpreso che fossi stato in grado di seguire. Quando gli ho presentato le mie obiezioni, ha riflettuto per un momento e poi ha risposto che avrebbe tenuto una lezione di follow-up in cui queste difficoltà sarebbero state esaminate.”
Fu in quel momento che, nonostante la grande deferenza verso il Rabbino Kotler, il Prof. Faur si trovò davanti a ciò che considerava le alcune dell’ebraismo ashkenazita dell’Europa dell’Est e il mondo delle Yeshivot Harediot.
Il Professor Faur lasciò quindi la yeshivà con l’obiettivo di rafforzare la sua conoscenza di Tora con un background accademico. Con questo in mente, scelse di studiare Filologia semitica. Fu il primo ebreo ad essere accettato all’Università di Barcellona da quando gli ebrei furono espulsi dalla Spagna nel 1492 durante l’Inquisizione spagnola. Si è laureato nel 1961, con una tesi in Filologia semitica e un M.A. in Lingue semitiche; il titolo della sua tesi di master era “La Espiritualidad Judia”, una spiegazione fondamentale della spiritualità ebraica. Nel 1963, Faur ricevette la sua Semichà dal Rabbino Suleiman Haggai Abadi, capo del Beth Din di Gerusalemme. Nel frattempo, il Prof. Faur aveva completato il suo dottorato in Lingue semitiche (che ha ricevuto nel 1964), scrivendo una tesi sulla traduzione aramaica della Torà, il famoso “Targum Onqelos”, che lui chiamava “Anghelus” e ci diceva che questa era la corretta pronuncia, trattandosi di un proselita romano. Nello stesso anno lasciò la Spagna per partecipare a una borsa di studio triennale presso il Jewish Theological Seminary di New York, sotto la supervisione dell’eminente professore di Talmud, Saul Lieberman. Nel 1966, Faur è stato ordinato Dayan in diritto famigliare dal carismatico Hacham Matloub Abadi della comunità siriana di New York, ed è stato ulteriormente ordinato Dayan dal Rabbino Suleiman Haggai Abadi nel 1968, questa volta in diritto civile.
Io mi sono avvicinato al pensiero del Prof. Faur grazie all’ufficioso “circolo” dei rambambisti iniziato un po’ da suo nipote Rav Yossi Bitton, uno dei primi Rabbini formati al Midrash Sepharadi SSC di Gerusalemme, dove ho studiato. IL “Hacham” Faur, come lo chiamano i suoi alunni era come i suoi maestri, estremamente accessibile. Rispondeva sempre alle nostre chiamate al telefono fisso di casa e restava con noi ore al telefono rispondendo con pazienza alle nostre domande sui suoi complicatissimi testi in Inglese. Ci parlava di Giambattista Vico, di Rav Elia Benamozegh (personalità italiane che ho conosciuto grazie a lui…), di Isaac Newton e del Rav Isaac Abendana, in uno stesso discorso, citando eruditi ebrei e non ebrei senza alcun problema.
Il Prof. Faur z”l diceva che non dovremmo sacrificare il nostro pensiero critico, anzi! Insegnava ad applicarlo rigorosamente ai supposti dogmi della scienza. Parlava spesso di epistemologia, un concetto che non era di certo evocato nelle Yeshivot….Insegnava che anche gli scienziati hanno le loro ideologie, e che dovevo imparare a distinguere tra scienza reale o fattuale, e alcune teorie venate di ideologia.
Definiva la tradizione ebraica, in particolare la tradizione classica Sefardita, come un umanesimo religioso, un’espressione che diceva fosse perfettamente adatta a uno dei suoi “eroi”, il rabbino livornese Elia Benamozegh z’l.
Per descrivere questo concetto prese l’episodio della parashà (o Perasha come lo pronunciava lui) di Beshallach: Quando Moshè manda le spie ad esplorare la terra d’Israele che dovevano conquistare, dice loro: «Osservate la forza di questi popoli e vedere se risiedono in città aperte o murate». Le spie tornano e trasmettono un rapporto molto pessimistico a Moshè e al popolo. Si lamentano, tra l’altro, che “le città sono murate fino al cielo”, quasi a voler dire che sono impenetrabili. Ma per Moshè le città murate erano un segno di debolezza. Gli abitanti che vivono dietro le mura non si allenano per la lotta ‘uomo a uomo’. Si affidano alla forza delle loro mura. Ma una volta che le mura cadono, sono molto facili da sconfiggere. D’altra parte, i popoli che vivono in città aperte, senza mura, si affidano alle proprie forze per sconfiggere il nemico, poiché si allenano per la guerra ed è molto più difficile sconfiggerli. Il Prof. Faur ha brillantemente spiegato, che ci sono due modelli validi di fronte all’avversario ideologico. Il primo è costruire muri culturali, e rifugiarsi dietro di essi. Il muro ti protegge finché stai in piedi e non esci fuori. Ma una volta che cadi o ti alzi dal muro, sei totalmente vulnerabile. L’altro corrisponde alle città aperte. Quando sei esposto ad altre idee, devi imparare ad affrontarle e superarle. La Torà è vera e se viviamo in città aperte, dobbiamo prepararci ad affrontare le idee che la attaccano. Lui precisava evidentemente che si riferiva al mondo delle idee e non ai “muri sociali”, che gli ebrei da sempre hanno eretto e mantenuto per evitare l’assimilazione.
Ascoltando e leggendo il “Hacham” Faur z “l possiamo scoprire un ebraismo intelligente. La storia della sua vita è affascinante.
Il Prof. Faur ha lasciato un’eredità incalcolabile… Non solo ha scritto 9 libri di cui vi consiglio il suo Opus Magnum “The Orizontal Society” e quasi 100 articoli di cui vi consiglio “Anti-Maimonidean Demons”, ma ha anche avuto la visione di registrare quasi tutte le lezioni e gli shi’urim che ha tenuto da quando è stato inventato il registratore a cassette, negli anni ’70. Sospetto che potrebbero esserci più di 2.500 lezioni registrate di lui, in inglese ed ebraico, principalmente nell’ archivio della Yeshivà University che si può consultare su internet liberamente.
Finisco, come avrebbe certamente voluto il nostro “Hacham” Faur, citando Maimonide dal Mishné Tora, le leggi del lutto 4, 4:
צדיקים אין בונים להם נפש על קברותיהם שדבריהם הם זיכרונם
Non è necessario erigere un memoriale sulle tombe dei giusti e dei saggi. Le parole e le idee che ci lasciano, sono il vero omaggio alla loro memoria.
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2 risposte
Il prof. Faur lo conobbi a Livorno nel 2000 in occasione del Convegno su E. Benamozegh nel centenario della nascita. Un uomo straordinario!
Che il suo ricordo sia in benedizione!
Guido Guastalla
Titolo troppo generico.
Con tutto il rispetto per le buone intenzioni …
Ci sono muri e muri.
I muri della propaganda ostile contro gli ebrei e contro Israele…i muri della scienza contro le malattie …. i muri che proteggono dai male intenzionati …bombe o coltelli che siano …
“contro i muri” da solo dunque è uno slogan generico e potenzialmente troppo ideologico ….