Prossima fermata, Shalom

Ho letto in queste ultime settimane le vicissitudini che hanno portato la CER a un cambio della gerenza e della prospettiva della storica testata “Shalom” dopo molti anni caratterizzati da una stessa guida e un progetto volto a dare dignità alla voce della comunità romana. Per 18 anni circa ho partecipato con entusiasmo alla redazione della testata dalla fine dell’esperienza di Lia Levi e Luciano Tas, a inizio anni ’90, passando per l’esperienza di traghettatore di Claudio Spizzichino, e poi con le direzioni di Bepi Caviglia, di Balfour Zapler (z.l), con i quali collaborai con grande passione prima di Giacomo Kahn. Rammento che proprio nei primi anni con Bepi ebbi a conseguire il primo dei miei tesserini giornalistici da pubblicista prima di diventare professionista oltre 22 anni fa per poi passare alla direzione di Karnenu per altri quasi 15 anni, per poi passare in Rai.

Lavorare per Shalom mi ha consentito di capire le psicologie dei protagonisti del nostro microcosmo vitale, le vicende quotidiane intrecciate alla Storia di famiglie e genti che mantengono qui forte un’identità con il territorio, con la città e con la “piazza” che si nutre dei mormorii, del detto e non detto, degli umori che poi rispecchiano le sue varie anime. L’occhio del giornalista curioso ho osservato la nostra Keillah capitolina, che costituisceun unicumnel panorama mondiale, unita alla temperie politica e alla visione del futuro, che per un piccolo gruppo numerico della Golà significa spesso guardare oltre i confini nazionali, a Israele. In questa dialettica, secondo il mio modesto avviso, si riscontra l’interesse del lettore e del pubblico che intende conoscere “di ebrei di cose ebraiche e del resto” come dicevamo un tempo attraverso la storia, la cultura, la cronaca comunitaria, locale e nazionale, l’economia, il sociale e che non debba essere solo ed esclusivamente di origine ebraica.

In Shalom si è spesso avvertito in taluni ebrei “tiepidi” o talora non più così vicini all’ortodossia e alla comunità, un ultimo forte legame di identità e partecipazione ad una comune fede e agire e ai suoi interpreti. Il rispetto del lettore, per me è sacro, e pur avendo a lungo insegnato all’università la teoria della comunicazione pubblica, l’avvento delle nuove tecnologie e della crossmedialità e della fruizione attraverso la digitalizzazione di prodotti editoriali, sistemi, infrastrutture e contenuti nuovi, sono convinto che non si debba per nessuna ragione penalizzare ampie fasce di popolazione più saggia, affezionata al “loro” mensile, all’abitudine di ricevere la propria copia cartacea nella cassetta postale, con le sue rubriche tanto care alle famiglie, per la segnalazione delle nascite, delle maggiorità religiose, dei matrimoni e delle scomparse, delle lettere al direttore.

Shalom come baluardo contro l’analfabetismo digitale, insomma, come terapia dell’identità, senso di appartenenza e riscatto, orgoglio delle proprie posizioni e opinioni, la cui eco è arrivata anche tra i banchi del Parlamento con molti politici passati nei recenti cinque lustri in passerella nell’antico Ghetto e sempre più partecipi anche alle funzioni civili e religiose nel Tempio Maggiore.

Shalom come confronto su temi religiosi, come quell’immagine che dal Circo Massimo ogni vero romano ben conosce: la cupola della Grande Sinagoga che guarda quella di San Pietro come simbolo, coscienza e educazione al reciproco rispetto e alla pacifica convivenza, ottenuta non senza sofferenze e lutti. Oggi nella rincorsa alla tecnologia sempre più spinta, sembra quasi ci si voglia dimenticare di questa storia solo per coinvolgere le nuove leve in questo percorso di formazione e inclusione.

Fare questo mestiere non è semplice e occorre talento, predisposizione e capacità. Siamo nell’epoca dell’improvvisazione – lo sappiamo – ma non per questo si deve venire meno ad uno dei nostri valori cardine, una responsabilità l’essere il popolo del libro e della cultura, della scienza e dello studio come elemento vivificante e armonizzante. Shalom come palestra per i giovani di talento, che abbiano dimestichezza con le nuove tecnologie tra app e newsletter, e redazioni televisive di notiziari per ora ancora da far crescere, per accogliere il flusso delle notizie in un mondo sempre più dinamico e globalizzato.

Shalom come mezzo di approfondimento per capire, spiegare e prendere coscienza pur nella diversità delle opinioni che contraddistingue la dialettica ebraica, per questo la conservazione della sua versione cartacea di approfondimento accanto alla versione digitale in continuo aggiornamento, auspico possa sposare un rilancio autentico nel suo piano editoriale e di contenuti per questo giornale che da Roma sino a Gerusalemme dovrebbe appartenere a tutti tra memoria e futuro di intere generazioni di famiglie che ne sono state protagoniste indiscusse.

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