Gli urtisti e la protesta del 16 ottobre, di Massimiliano Boni e Roberto Coen
Se è vero che il Covid ha cambiato la vita di noi tutti, per alcuni ha avuto un effetto drammatico, costringendo a cambiare non solo abitudini, ma la prospettiva con cui guardare al proprio futuro. Forse per sempre. Tra i più colpiti della nostra comunità, ci sono gli urtisti e gli ambulanti.
Dei primi ha fatto molto discutere la manifestazione indetta il 16 ottobre scorso, davanti il Tempio maggiore, in occasione della ricorrenza della deportazione di oltre mille ebrei romani. Quella mattina sono volate parole pesanti, insulti personali, frutto di paura e disperazione, certo, ma che hanno creato una lacerazione dentro la nostra comunità, che fatica ancora a essere sanata.
È per questo, per capire, che Riflessi ha chiesto di poter parlare con alcuni di loro: Leo (Plinio) e Giovanni Sermoneta.
Leo (Plinio), in questi giorni si parla molto delle difficoltà economiche dei commercianti.
Qual è la situazione della categoria degli ambulanti e degli urtisti nel periodo dell’emergenza pandemiologica dovuta al Covid-19?
Purtroppo l’emergenza sanitaria non ha influito molto sulla categoria degli ambulanti e degli urtisti perché i provvedimenti che hanno colpito queste persone erano già stati emessi prima del Covid. Attualmente la situazione è disastrosa. L’Amministrazione comunale sta facendo di tutto per rendere la vita difficile all’ambulantato romano. Per esempio è stato preso un provvedimento che impedisce agli ambulanti di scambiarsi i posti. Perché? che cosa cambia al Comune se gli ambulanti si scambiano le postazioni a loro assegnate, come è sempre stato fatto- Il Comune ha intrapreso una politica di delocalizzazione 56 e cioè tolgono le vecchie soste e ne prevedono delle altre in posti non commerciali e dove non ci sono persone. Vorrei ricordare che un banco è una vera e propria azienda, con una partita iva, un registratore di cassa e tutti pagano le tasse sui redditi.
Che cosa possono fare per voi la CER o l’UCEI?
Io sono dell’idea che la CER e l’UCEI dovrebbero rimanere fuori dall’Ambulantato, che è un settore commerciale come tanti altri. Le nostre istituzioni non possono mettere la faccia sulle nostre lotte. Però dovrebbero domandarsi perché le uniche categorie che vengono combattute dal Comune sono solo quelle degli urtisti, degli ambulanti, delle botticelle. Perché i Vigili Urbani passano ogni giorno esclusivamente dai ristoranti kasher per controllare che tutto sia in regola. Sono tutte categorie composte prevalentemente da imprenditori ebrei. Il sospetto è legittimo. A buon intenditor poche parole . Io credo che le nostre istituzioni dovrebbero dimostrare maggiore sensibilità, mandare un pubblico segnale e manifestare preoccupazione per quanto sta accadendo. Il Comune sta facendo una politica che ci danneggia moltissimo e non ci ascolta. Sono due/tre anni che abbiamo presentato quattro progetti di banco-tipo, sostenendone le spese, per riqualificare il settore e migliorare l’arredo urbano; abbiamo proposto di ricreare la figura del Vigile di mercato, come c’era una volta, e che avremmo finanziato noi, senza ottenere alcun risultato. Chiediamo solo di lavorare e di non essere spostati sul raccordo anulare, anche perché i nostri posti verrebbero subito occupati da abusivi che non pagano neppure le tasse.
Lo scorso 16 ottobre, in occasione del deposito di una corona di fiori, davanti alla lapide del nostro Tempio in ricordo della deportazione di 1024 ebrei di cui oltre 200 bambini, da parte del Comune di Roma, è avvenuto un episodio, a dir poco, increscioso: la Sindaca di Roma è stata accusata di antisemitismo e la Presidente della Comunità è stata insultata e accusata di indifferenza.
Io penso che quel giorno non dovesse essere occasione di proteste da parte nostra nei confronti della Sindaca. Posso dire, però, che la disperazione e le difficoltà economiche, che ti impediscono di fare la spesa per dare da mangiare ai tuoi figli, ti impediscono anche di ragionare bene. Forse se mi fossi trovato lì, anche io avrei reagito male. Sono due anni che la categoria degli urtisti non lavora e nessuno li ascolta. (a cura di Roberto Coen)
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Giovanni Sermoneta mi racconta dei tempi duri che lui, come molti altri della sua categoria, sta affrontando ormai da dieci mesi. Ci parliamo un venerdì mattina mentre è al lavoro, in un banco a viale Cola di Rienzo. Sì, perché Giovanni un’alternativa l’ha trovata.
“Ho fatto l’urtista grazie a una licenza di mio zio, mi racconta, ed è un lavoro con cui a Roma si è sempre vissuto dignitosamente, perché i turisti non sono mai mancati; io però ho avuto voglia di cambiare, e così avevo cominciato a interessarmi ad altri settori, come l’ospitalità e la ristorazione. Poi è arrivato i Covid, e ho dovuto chiudere”. Adesso, per vivere, Giovanni è tornato un po’ alle origini. Ha rispolverato la licenza di suo padre, e vive grazie a un banco che ruota in alcune zone della città. Anche se questo gli permette di resistere, mi elenca subito tutti gli ostacoli che ogni giorno deve affrontare: le piazzole sono insufficienti, non ci sono parcheggi attrezzati, l’amministrazione cittadina si disinteressa della categoria, e soprattutto, in tempi di pandemia, anche chi è ha un lavoro spesso non ha nessuno a cui vendere. “La crisi degli urtisti”, mi spiega quando gli domando di raccontarmi un po’ di quel mondo, “è iniziata con Marino ed è proseguita con la Raggi. Io lavoravo al Colosseo, al Pantheon e a Fontana di Trevi. Da lì ci hanno mandato via, e oggi le alternative che ci hanno offerto sono del tutto insufficienti, perché le piazzole sono poche, e perché sono in zone della città non toccate dai flussi turistici”. Gli chiedo allora di spiegarmi se la comunità, a suo avviso, ha fatto tutto il possibile per difenderli. Giovanni mi risponde senza accuse gratuite, ma anzi cercando, con spirito riflessivo, di darmi una visione oggettiva del problema. “I massimi rappresentanti della Cer ci hanno difeso, ma a mio avviso senza mai molta convinzione. Ci è stato detto da subito che per noi non ci sarebbero state molte speranze e anzi c’è chi ci ha invitato a cambiare lavoro. Io penso che, quando la Cer si è seduta al tavolo delle trattative con il comune, l’ha fatto in modo troppo arrendevole, e in questo modo noi non ci siamo sentiti tutelati a sufficienza. Vedi, anche noi facciamo parte della comunità, e invece ci siamo sentiti poco difesi. Alcuni di noi si sono sentiti traditi”.
Ma questo giustifica la manifestazione del 16 ottobre, le grida e gli insulti.
“No, non li giustifica. Io credo che quella manifestazione sia stata sbagliata, nei modi e soprattutto nei tempi. Non si doveva protestare il 16 ottobre. Però è anche vero che molti miei amici ormai sono in una situazione disperata, e quando ti senti con le spalle al muro,7 purtroppo fai anche degli errori”.
Gli domando infine come potrebbe risolversi questa situazione. È un problema politico, mi spiega con lucidità Giovanni.
“Basterebbe, ad esempio, che il legislatore dichiarasse che il ricordaro è una categoria storicamente da proteggere. Servirebbe anche aumentare il numero di piazzole in cui è consentito lavorare rispetto a quelle che sono state date oggi, appena 10 per oltre 60 persone. Insomma, chiediamo solo di poter tornare a fare il nostro lavoro”.
E per lui Come vede il suo futuro? Giovanni Sermoneta mi risponde con la fiducia di chi ha in progetto da realizzare. “A Roma i turisti torneranno, è sicuro. E io ricomincerò da dove avevo interrotto”.
(a cura di Massimiliano Boni)