“Welcome to Joe’gia”, di Ghila Ottolenghi Sanders
Saluti da Atlanta, la capitale dello Stato della Georgia, e dal 1998 casa per la mia famiglia.
Se mi avessero detto allora che nel 2020 si sarebbe parlato del mio quartiere sui telegiornali di tutto il mondo mi sarei fatta una gran risata, e invece eccoci qui, nel cuore dello Stato che ha contribuito a determinare il risultato delle elezioni più importanti della storia contemporanea degli Stati Uniti ma com’è successo?
Il 2020 è iniziato pieno di aspettative e speranze. L’anno della visione perfetta, un numero speciale per i ragazzi in dirittura di arrivo al liceo, gli stessi nati nel difficile 2001, a ridosso dell’attacco alle Torri gemelle che hanno cambiato questo paese in modo profondo, cancellando improvvisamente il senso di sicurezza fisica di cui gli Stati Uniti avevano sempre goduto e alimentando nuove paure.
Il mondo del melting pot, il crogiolo tutto di un tratto raggelato, si è trovato a fare i conti con una xenofobia dilagante all’interno dei propri confini e una guerra senza fine di là dall’oceano. In questo nuovo panorama è nata la generazione che si è diplomata l’estate scorsa, e che poche settimane fa è andata alle urne per la prima volta.
È stata un’elezione presidenziale senza paragoni. Un record di voti mai visto, il 67% degli aventi diritto contro la media storica che varia tra il 50% e il 60%. L’ultima volta che l’America si è avvicinata a una percentuale così alta era il 1908. Rimane un numero molto inferiore alle medie europee (in Italia per esempio vota circa il 75%), un fenomeno difficile da capire per chi è cresciuto con un forte senso civico incentrato sul voto, percepito sia come diritto che come dovere. Noi Italiani votiamo, basta compiere diciotto anni (o prendere la cittadinanza) e presentarsi ai seggi con un documento. Qui invece bisogna registrarsi alle liste elettorali, e per tutta una serie di motivi storici e socio-economici una grossa fetta di potenziali elettori non è iscritta.
La presidenza di Trump e una nuova ondata di politici determinati a voltare pagina hanno cambiato tutto. Nel mio quartiere, ad Atlanta, annidato tra l’ospedale dell’Emory University e il Center for Disease Control (CDC), da marzo il traffico si è fermato e le comunicazioni tra di noi, non passando più attraverso le chiacchere tra vicini, si sono trasformate in cartelli impiantati sui prati di fronte alle case. In primavera tutte le strade sono state inondate di frasi d’incoraggiamento per il personale medico. Grazie CDC, Vi vogliamo bene, lavoratori in prima linea!
Con l’avvicinarsi della fine dell’anno scolastico e senza cerimonie di fine corso, a maggio sono spuntate le versioni più personali, quelle di congratulazioni per i propri figli alla vigilia di un passaggio importante altrimenti passato in sordina: Auguri Mason! Finito il liceo! Questa è la casa di un futuro studente a Princeton. E poi ad agosto la politica ha preso il sopravvento. “Biden/Harris: Riportiamo la Sanità in America”, “ByeDon” (un gioco di parole che incrocia Biden e Bye Don, Arrivederci Don), “Qualunque Adulto Razionale 2020″, !Oddio Mio Fatelo Finire 2020”.
A giudicare dai miei vicini di casa, Joe Biden era il chiaro vincitore, ma la realtà è che viviamo in uno stato storicamente repubblicano, e con una demarcazione politica notevolissima tra le aree urbane e quelle rurali. Nonostante la popolazione afro-americana rappresenta più del 32% (paragonato al 13% di media degli Stati Uniti), la Georgia non eleggeva un candidato democratico alla Casa Bianca dai tempi di Clinton, e nel 2016 non si è stupito nessuno dell’esito a favore di Donald Trump. Nel 2018, però, alle elezioni governatoriali si è presentata Stacey Abrams, avvocata afro-americana e nuovo volto in politica. Le elezioni sono andate al suo opponente repubblicano, Brian Kemp, ma in proporzioni molto più strette rispetto al passato, evidenziando un potenziale cambiamento di direzione, ma anche un problema profondo di accesso al voto da parte delle parti più discriminate della società. Stacey Abrams non si è fermata, e ha lanciato un’iniziativa di base, the Fair Fight Action, con l’intento di riportare al centro del processo il diritto di voto e registrare alle liste elettorali una percentuale più alta possibile di persone.
Nel 2016 il 22% degli aventi diritto al voto non era registrato. Quest’anno il numero è sceso al 2%, in gran parte grazie al lavoro dell’organizzazione di Stacey Abrams, e la maggioranza dei nuovi voti è andata a Biden, ma non necessariamente al blocco di candidati democratici, tanto che per i due seggi da eleggere al Senato si tornerà alle urne a gennaio.
Con i risultati delle elezioni presidenziali a lungo sotto attacco, e l’attuale Presidente che continua a mettere in discussione il sistema elettorale e in particolare i macchinari utilizzati in Georgia con pesanti accuse infondate di frode, non è chiaro se l’elettorato repubblicano si presenterà al voto e in quali percentuali. Certo è che le prossime settimane saranno decisive per il controllo del Senato. La visione perfetta del 2020 è stata insomma una doccia fredda: in un anno marchiato da una devastante pandemia che ha ridotto milioni di persone alla disperazione e portato centinaia di migliaia di gente in piazza a protestare contro l’ingiustizia e il razzismo sistemico che ancora divide la nostra società, almeno una cosa per adesso è sicura: Cari amici, Welcome to Joe’gia.