Più risorse e più sostegno alle piccole comunità
Daniele De Paz, presidente della comunità di Bologna, spiega a Riflessi l’importanza per l’ebraismo italiano di avere una presenza sul territorio, e perchè l’Ucei deve sforzarsi di essere loro vicina
Presidente De Paz, da quanti anni guida la Comunità di Bologna?
Da otto anni. In precedenza, negli otto anni precedenti, sono stato vice presidente di Guido Ottolenghi.
Ci descrive la realtà dell’ebraismo bolognese?
Bologna è sicuramente una piccola Comunità, che comunque nella sua dimensione ha realizzato da tempo un percorso virtuoso rispetto alle relazioni che la Comunità ha con la città. Ciò nasce anche da una consolidata tradizione storica, in cui l’ebraismo bolognese era molto più florido di oggi. Fino alla fine del ‘500 Bologna era una città ebraica di riferimento sul territorio nazionale, con scuole e rabbini; poi, per volontà papale, questa tradizione scompare per circa 300 anni, in cui sembra che la Bologna ebraica sia estinta. In realtà rinasce verso la fine dell’Ottocento, con qualche reminiscenza del passato. Nel senso che gli ebrei ricostruiscono immediatamente i rapporti con la città, realizzano subito una sinagoga e un cimitero, che insomma marcano la presenza ebraica in città, consolidando il rapporto fino ai giorni nostri. Grazie a tale rapporto solido è stato possibile, ad esempio, che il tempio, danneggiato durante la guerra, venisse prima costruito e poi ricostruito per volontà dell’allora presidente Eugenio Heiman, su progetto dell’ingegner Muggia, figlio del noto architetto già progettista del primo tempio ottocentesco. Fin dai tempi di Rav Momigliano è stato inoltre riattivato un campo per le sepolture nell’ambito della Certosa, e oggi i campi sono 3, il primo dell’Ottocento, il secondo del Novecento, il terzo quello attuale.
Su quali linee di azione ha diretto il suo mandato?
Mi interessa molto difendere il tema dell’identità, che è un tema centrale attraverso cui i nostri iscritti possono sentirsi fortemente ebrei nella loro città. Mi spiego: a mio parere per sentirsi pienamente ebrei bolognesi è necessario vivere e partecipare la vita ebraica in città: non solo partecipare ai programmi culturali, o andare al tempio; occorre anche riconoscersi passeggiando nella propria città, riconoscendo i suoi luoghi ebraici. Su questo abbiamo lavorato moltissimo, realizzando opere che avevano l’obiettivo di rafforzare questo elemento sociale.
Di che si tratta?
Abbiam realizzato nel 2016 il primo memoriale della Shoah in spazio pubblico, un grido contro violenza e discriminazione contro ogni diversità. È il frutto di un progetto internazionale che ha ricevuto oltre 280 proposte, presieduto dal noto architetto newyorkese Peter Eisenman (l’autore del memoriale di Berlino), poi scremati fino a 5, con 1 vincitore finale, i Setarchitects di Roma. Ciò è stato possibile solo se la comunità dialoga con le istituzioni locali, raccogliendo consenso, che poi si traduce, ad esempio, nel trovare i fondi per realizzare l’opera. È stata infatti la città di Bologna che ha realizzato il progetto, aderendo all’idea che trasmetteva.
E poi?
E l’ebreo bolognese? Che tipo è?
In generale, il bolognese non è certo un soggetto riservato, perché la città non è per niente chiusa e riservata, anzi è ospitale. Anche gli ebrei bolognesi hanno gli stessi caratteri.
Di che numeri parliamo?
Nessun problema, allora?
Purtroppo non è così. Siamo anche una comunità datata. Le persone anziane si muovono poco, per cui di shabbat siamo poco oltre il minian, a parte i moadim. Capsico che per un Rav ciò significhi poca partecipazione e a volte anche forte delusione…
E per il futuro?
Che problemi vive con maggiore apprensione, come presidente di una piccola comunità?
La preoccupazione è quella di estinzione, di trovarsi sempre di meno; c’è un’attività sovradimensionata rispetto alle nostre reali dimensioni, ma le garantisco che spesso ci domandiamo: per chi facciamo tutto questo? La risposta è per continuare a far esistere una comunità ebraica a Bologna. Nelle piccole comunità l’anagrafica è schiacciante, il che produce anche un problema di sostentamento. Il bilancio da noi è assolutamente in equilibrio, grazie alla nostra politica di collaborazione con la città, pensi solo al fatto che oggi Bologna contribuisce alle nostre iniziative comunitarie culturali. Ad un certo punto, però, temo che con il calo demografico non sarà più sostenibile le nostre attività.
Che rapporti vive una piccola comunità con le grandi?
È un rapporto difficile, perché le grandi Comunità pensano di essere le uniche a rappresentare l’ebraismo italiano. Certo in parte è vero, ma l’obiettivo per noi è non rimanere indietro, e anzi realizzare dei percorsi di progressivo riconoscimento, che non sono mai facili, ma necessari. I nostri giovani devono leggere e sperimentare altre realtà, per esempio con viaggi all’estero, per rafforzare la loro identità ebraica… per poi tornare e consolidare qui le loro esperienze.
L’Ucei verrà rinnovata ad ottobre: che priorità di azione dovrebbe darsi, secondo lei?
Il tema principale di cui ho discusso già più volte è garantire la realizzazione di obiettivi e progetti di qualità. Serve per questo un’organizzazione e una gestione che non può essere delegata solo a un organismo fisso di una comunità; occorre invece un’attenzione e una partecipazione anche da parte dei consiglieri e di altri volontari. Nelle grandi Comunità può funzionare affidarsi a professionisti che hanno competenze di livello, mentre nelle piccole Comunità si genera uno squilibrio tra le risorse umane disponibili e la realizzazione di obiettivi di qualità.
A cosa pensa?
Sono molto attento ai rapporti con l’amministrazione locale e questo ha portato a ricevere finanziamenti da fondazioni locali e istituzioni. C’è una costante cura nelle relazioni. Per fare questo c’è bisogno di un impegno continuo, e nelle piccole Comunità non si può lasciare sempre che tutto ricada sulle spalle di volontari. Pongo l’attenzione su tale tema, perché i nostri risultati non sono casuali. L’Ucei deve essere vicina a tutte le Comunità, sedendosi al loro fianco e al tavolo con le istituzioni locali, per il raggiungimento di obbiettivi che una volta ottenuti si inseriscono come nuovi tasselli del patrimonio culturale ebraico nazionale.
Questa è l’undicesima tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane.
In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato, Trieste, Napoli (qui e qui), Firenze, Livorno, Verona, e Padova, e Modena
Una risposta
Brillante intervista e molto interessante!