L’ultimo erede
Con la scomparsa di Antonio De Benedetti ci lascia l’ultimo interprete, forse, di una lunga tradizione letteraria ebraico-italiana.
Nato in una famiglia della borghesia intellettuale ebraica piemontese, fucina di grandi figure di riferimento della letteratura italiana del Novecento, cresciuto nell’ambiente coltissimo e raffinato di suo padre Giacomo, a cui si deve l’analisi approfondita e dettagliata dell’opera di Marcel Proust, nonché i primi incontri della letteratura classica con la psicoanalisi freudiana, Antonio Debenedetti è morto a Roma il 3 ottobre scorso.
Con lui scompare certo un mondo nato con il secolo scorso e destinato a trasformarsi con quello attuale. Nel passaggio però tra questi due universi compenetrati, più che paralleli, l’opera di Debenedetti è stata puntuale e originale fino a pochi anni fa con la pubblicazione degli ultimi romanzi, tra i quali certamente “Il tempo degli angeli e degli assassini”.
Fratello della storica dell’arte Elisa, la saga dei Debenedetti, nata a Biella, nel Piemonte dei tessuti e poco lontano dell’industria alimentare, introduce grandi apporti alla critica con Giacomo a partire dagli anni Trenta e Quaranta, ma anche successivamente, con le pubblicazioni postume negli anni Settanta.
Più moderna e aperta al confronto con la televisione e la radio, gli autori contemporanei è stata l’opera narrativa di Antonio, nato a Torino nel 1937, ma vissuto sin da piccolo a Roma. Giornalista per il quotidiano socialista “Avanti!” negli anni Cinquanta e dopo, tranne brevi parentesi, per il “Corriere della Sera”, per il quale a lungo si è occupato delle pagine letterarie.
Tra le opere più recenti, menzionate dalla Treccani, le raccolte di racconti, forse la sua migliore forma espressiva, “Racconti naturali e straordinari” del 2017 e “Quel giorno quell’anno del 2018”.
Una risposta
Giusto ricordare intellettuali e autori come Antonio Debenedetti