Il vino nel seder di Pesach e il “simposiarca”
A poche ore da Pesach Massimo Giuliani ci aiuta a entrare nella festa con una riflessione su uno dei protagonisti del Seder: il vino
Rav Alberto Moshe Somekh (che ha curato la più recente traduzione annotata di quel trattato, per conto dell’Assemblea dei rabbini italiani) annota che il vino, il capofamiglia, «non se lo versa da solo, ma viene servito da altri in segno di libertà. Inoltre il verbo ebraico allude alla mescita del vino con l’acqua, perché al tempo della Mishnà il vino era troppo forte per potersi bere schietto» (p. 77). Allungare il vino con acqua o correggerlo con miele o spezie, anche per ragioni di conservazione, era normale nel mondo antico. Altro vino, durante il seder, può essere certamente bevuto oltre queste “quattro coppe”, ma non tra la terza e la quarta, per timore che ci si ubriachi e non si sia più in grado di terminare il rito familiare cantando l’Hallel, i salmi di lode e ringraziamento. Inoltre, non va posta enfasi sulle altre bevute, perché le “quattro coppe” prescritte sono altrettanti rimandi a citazioni bibliche che le spiegano e le giustificano; infatti i maestri le connettono con i quattro verbi della redenzione dall’Egitto contenuti in Shemot/Esodo 6,6-7: vi sottrarrò ai gravami degli egiziani; vi libererò dalla loro schiavitù; vi redimerò con braccio teso; vi prenderò come mio popolo…
Queste “quattro coppe” convergono in una quinta coppa, a livello simbolico, che viene posta in tavola ma non toccata, in quanto riservata al profeta Elia, che nel folklore religioso ebraico è il precursore del messia venturo e quindi è egli stesso figura messianica, prodromo della redenzione completa, sebbene nel Tanakh Eliahu hannavì sia associato tanto alla fedeltà al monoteismo quanto alla giustizia divina. A questo proposito si noti una differenza tra la ritualità italiana, che non pone enfasi su questa figura profetica, e altri riti della tradizione ebraica. La popolare, assai diffusa Haggadà shel Pesach curata da rav Alfredo Toaff, là dove si riempie la quarta coppa, prescrive che si leggano i versetti 6-7 del salmo 79: «Riversa la Tua ira sulle nazioni pagane (el goyim) che Ti hanno misconosciuto…» ma non riporta il canto Eliahu hannavì Eliahu hatishbì, che invece non manca mai nelle haggadot ashkenazite, dove è addirittura ordinato di aprire la porta di casa e si invitano i presenti ad alzarsi in onore del profeta che (in spirito) entra e partecipa al seder. Spesso la sua coppa è svuotata di nascosto per far credere ai bambini che davvero Elia s’è bevuto il suo bicchiere! Poi la porta è richiusa e si continua con l’Hallel.
In questo quadro teologico, durante il seder di Pesach il vino è usato anche per un’altra azione non meno simbolica: quando si legge l’elenco delle dieci piaghe inferte agli egiziani si è soliti intingere un dito nel vino e posarne la goccia sul piatto… come segno del sangue, o almeno del “caro prezzo”, pagato dagli egiziani nel processo che portò all’uscita dei figli e delle figlie di Israele dall’Egitto. Anche in questo caso c’è una profonda continuità tra il testo biblico e la prassi rabbinica, attestata dalla Mishnà e dal Talmud – il vino è spesso definito il sangue dell’uva – ragione per cui, da un punto di vista ebraico, è bene non separare il testo della Bibbia dalla sua ermeneutica rabbinica (ed è questa la ragione per cui il magghid – sulla seconda coppa di vino – non è una mera lettura di Shemot/Esodo ma già una collazione di midrashim su alcuni versetti biblici.
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Riepilogo dela settimana
Lunedì abbiamo ricordato una meghillà molto particolare letta a Torino
martedì, abbiamo iniziato un viaggio nelle piccole comunità, partendo da Venezia, per chiedere come si vivono questi mesi di guerra
mercoledì, abbiamo raccolto una bella testimonianza di Angelica Calò
giovedì, abbiamo parlato del padiglione israeliano alla Biennale di Venezia
Il padiglione israeliano alla 60a Biennale di Venezia rimarrà chiuso: fino a quando?
venerdì, Marta Ottaviani ci ha parlato della situazione in medio oriente dopo lo scontro tra Israele e Iran