In Israele si continua a manifestare
Dopo oltre tre mesi non si attenuano le proteste contro la riforma della giustizia del governo Netanyhau. Riflessi ne ha parlato con Daniela Fubini, firma nota dell’ebraismo italiano, e Eti Miller, manifestante e attivista, anche alla luce dei recenti attacchi di Hamas e della uccisione di un turista italiano a Tel Aviv
Daniela, tu sei conosciuta dagli ebrei italiani come un’attenta osservatrice di Israele, dove vivi da oltre 15 anni. La prima domanda che ti faccio dunque è: come hai vissuto queste settimane di proteste?
Io vivo in un moshav in campagna, a sud, vicino ad Ashkelon. Nella mia vita quotidiana dunque non mi è possibile manifestare nel centro di Tel Aviv, anche a causa dei blocchi improvvisi del traffico. Per questo motivo all’inizio avevo una visuale lontana dalle proteste, ne ero geograficamente distaccata, seppure subito molto coinvolta. Devo dirti perciò che ho vissuto questo periodo malissimo, proprio perché è chiara la sensazione che stia succedendo qualcosa di molto importante, qualcosa di storico. Dunque sono stata “costretta” a essere lontana dal cuore delle proteste.
La distanza fisica non ti ha impedito però di osservare quello che appare un fenomeno storico, con centinaia di migliaia di persone che protestano da tre mesi.
La prima cosa che ho notato è che c’è stato un cambiamento dei luoghi della protesta. Kikar Rabin, la piazza storica dove, soprattutto a sinistra, si va a protestare e a manifestare, quindi un luogo politicizzato, in questo periodo è nella zona dei lavori della metropolitana. Oggi dunque si va in kikar Ha bima, o a Kaplan, o altrove; questo fa sì che queste manifestazioni perdano il significato strettamente politico del passato, consentendo di aggregare anche coloro che non erano mai scesi in piazza, consentendo loro di identificarsi con le proteste di oggi.
Penso ai professionisti che lavorano nell’high tech, per esempio. Uno dei cuori della protesta poi è Gerusalemme, dove ho molti amici e dove la comunità italiana è molto presente. Anche lì questa riforma ha come scoperchiato un vaso di Pandora, la gente è tornata a manifestare davanti la casa del primo ministro, a Kikar Zarfat, in realtà più un punto di slargo che una piazza, luoghi dove storicamente si va a manifestare, dove eravamo per Ghilad Shalit. È lì che è nato lo slogan “crime minister”: un semplice cambiamento di lettera che ci porta su un piano completamente diverso, e che esprime bene il desiderio che Netanyahu se ne vada.
Facciamo un passo indietro: quando sono nate le proteste?
Quando Levin (ministro della giustizia, n.d.r.) ha fatto le prime dichiarazioni a valle delle elezioni vinte, immediatamente sono iniziate le manifestazioni. Nel giro di poco tempo le piazze si sono moltiplicate e sono iniziati i blocchi di incroci stradali. Il fatto che la protesta abbia raggiunto luoghi come Haifa e Beer Sheva, per loro natura e per motivi storici assolutamente assenti dalle manifestazioni precedenti, segnala la novità storica del momento, e ha chiaramente fatto intuire che questa ondata di manifestazioni stava diventando virale.
Come vivono gli israeliani questo momento?
Il sentimento che si vive nel paese, soprattutto nelle ultime settimane, è quello voler dimostrare la propria contrarietà, è quello di mostrarsi. Assistiamo così a un’onda costante di spostamenti di persone, in cui ognuno va dove può far contare la sua partecipazione, per far vedere la propria contrarietà alla riforma. Ti racconto un piccolo episodio: vicino alla zona in cui abito è successo che anche dei trattori siano stati utilizzati per bloccare brevemente la strada statale. Può sembrarti una cosa di poco conto, ma se consideri che le zone in cui abito hanno una fortissima presenza del Likud, anche questo episodio è significativo. Un altro modo di manifestare è quello di occupare i ponti, che nelle strade a traffico veloce d’Israele, come la 1, la 4 o la 6, sono numerosi, per mettere in collegamento piccoli villaggi. Ebbene, le persone hanno cominciato a presidiare i ponti, a far vedere in questo modo la loro contrarietà alla riforma; anche questo è una forma di protesta significativa, se tieni conto che era dal 2005, cioè dal poll out di Gaza, che non vedevamo questo tipo di proteste.
Secondo te la sospensione della riforma da parte di Netanyahu, ne segna il definitivo accantonamento?
Non credo. Il ministro della Giustizia, oltre che Netanyahu, ha già dichiarato che si tratta solo di una pausa. È evidente che nessuno nel governo pensa di mettere da parte questa riforma. Sono perciò molto preoccupata perché quello che abbiamo visto negli ultimi giorni è il tentativo di provocare dei disordini, l’attacco a cittadini arabi da parte di ebrei molto violenti, dei veri e propri picchiatori. Temo quindi che qualcuno voglia provocare uno scontro politico.
L’opposizione politica che ruolo ha in queste proteste?
L’opposizione in questo momento non è in piazza con i manifestanti. In piazza c’è la gente. Di solito i capi dell’opposizione si mettono in testa alle proteste perché sono i partiti, i sindacati, ad avere la capacità organizzativa necessaria per far manifestare le persone. Qui invece è successo il contrario. L’opposizione è come congelata in parlamento, dove non ha alcuna iniziativa politica, e sembra arroccata in una posizione di totale chiusura a ogni forma di dialogo e di trattativa. Si tratta di una situazione evidentemente negativa.
Perché?
Mi sembra che l’assenza di un’iniziativa politica produca una contrapposizione netta fra favorevoli e contrari alla riforma. Mi sembra cioè che il clima sociale nel paese stia velocemente peggiorando, al punto che abbiamo assistito ai primi tafferugli nelle strade, con la polizia che fa da cordone per evitare conseguenze peggiori. Il rischio dunque è che stia venendo meno la pace sociale nel paese. L’altro elemento negativo è che se l’opposizione non avvia un’azione politica tutto il paese rimane bloccato. Lo stallo è così grave che nella Knesset è impossibile approvare qualsiasi iniziativa legislativa promossa dalla minoranza. Per farti un esempio, nei giorni Ben Gvir ha impedito l’approvazione di una legge per la tutela della sicurezza delle donne, che avrebbe previsto l’obbligo di braccialetti elettronici per gli uomini dichiarati pericolosi per le loro compagne. Ecco un esempio importante che ti fa capire come lo stallo politico produca a cascata effetti negativi sulla vita delle persone.
Come giudichi la figura di Netanyahu?
È una delle domande più difficili a cui rispondere. Io cerco di essere raziocinante e mi dico che questo scontro a un certo punto terminerà e che non andrà avanti. Tuttavia devo riconoscere che in questo momento Netanyahu sembra in balia dei partiti estremisti che lo sostengono. Se ragiono razionalmente mi dico che Israele non può diventare uno stato dell’Halakhà, mutando così l’identità con cui è nato 75 anni fa. Tuttavia, al tempo stesso, devo prendere atto che Netanyahu ha già fatto cose che non credevamo possibili. In questo momento le prospettive sono preoccupanti. Attendiamo di vedere cosa accadrà nelle piazze e nella Knesset alla ripresa dei lavori. Vedremo se l’opposizione e i manifestanti saranno capaci riprodurre un’azione politica in grado di tutelare la democrazia di Israele come l’abbiamo conosciuta finora.
È dunque davvero concreto il rischio di trasformare Israele in uno stato prevalentemente teocratico?
Si vedono avvisaglie di questo tipo. Ti faccio due esempi. Il primo è la legge sul chametz. Fino ad ora negli ospedali si è sempre seguito il buon senso di non portare cibo chametz durante Pesach. Tuttavia, se qualcuno lo faceva, veniva considerato un suo affare privato. Ora i partiti religiosi hanno ottenuto di far passare una legge che permette agli ospedali di vietare l’ingresso del cibo chametz. Un altro esempio è quello della tassa sulle bevande zuccherate e sulla plastica non riciclabile. In Israele il mondo ultraortodosso si è sempre opposto a queste tasse perché sono proprio loro che fanno un uso massiccio di bevande zuccherate, specie durante lo shabbat, e di plastica non riciclabile che, considerando l’alto numero dei componenti di ogni famiglia, utilizzano moltissimo. Ebbene, il nuovo governo ha immediatamente abrogato la tassa su tali prodotti. Anche da questo esempio mi sembra che il governo in carica non abbia minimamente a cuore il futuro del paese, in particolare la sua sostenibilità ambientale, ma gli interessi soltanto gestire il potere oggi.
A tuo parere si rischia un clima di scontro come quello del 1994?
Un’ultima domanda. Pesach è stata segnata dall’inasprirsi degli attacchi da Gaza e dal Libano, questi registrati dopo alcuni anni di tregua. Inoltre un attacco a Tel Aviv ha provocato la morte di un turista italiano e il ferimento di altri sette. A tuo avviso il pericolo esterno fermerà, o attenuerà, le proteste contro la riforma?
Occorre tenere conto che in Israele, soprattutto in questo periodo, le cose tendono a cambiare continuamente per effetto di tanti elementi, interni e, purtroppo, anche esterni. Detto questo, la mia forte sensazione è che l’aprirsi di fronti esterni come Gaza, il Libano o anche la Siria è un tema che viene percepito dalla maggior parte degli israeliani come una conseguenza della politica di questo governo. Quindi credo che i missili, e anche gli attentati, come quello tragico in cui ha perso la vita un cittadino italiano, non bloccheranno le proteste, a meno si dovesse assistere a un’escalation, che ovviamente nessuno ovviamente auspica. Pur con i missili che arrivano da nord e da sud, e gli attentati nel paese, o credo che le proteste non verranno scalfite; anzi, potranno rinforzarsi, perché, ripeto, i manifestanti vedono questi tragici fatti come gli effetti delle politiche del governo Netanyahu.
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Signora Eti, posso chiederle quanti ha? E di cosa si occupa nella vita?
Mi chiamo Eti Miller, ho 76 anni, sono pensionata, prima facevo la maestra al liceo per tanti anni. Mio figlio, Nir Sivan, da anni è architetto a Roma.
Perché ha scelto di scendere in piazza con i manifestanti?
Ho deciso di “scendere in piazza”, come la definisce lei, con i manifestanti perché il mio amato paese sta “cambiando faccia” (è un’espressione ebraica che vuol dire che sta cambiando completamente). Siamo un paese democratico e siamo orgogliosi di esserlo. Israele è l’unico paese democratico nel medio oriente. Il nostro governo, che è stato eletto democraticamente, ha però deciso di fare una riforma giudiziaria che sottometterà la Corte Suprema al potere politico! Vuol dire che l’autorità giudiziaria sarà nelle mani dei politici.
Cosa pensa di questa riforma?
Cosa altro contestate?
Ci può descrivere quello che succede durante le manifestazioni? Cosa chiedete?
Durante le manifestazioni si grida “democrazia”, “democrazia” e “vergogna”. Poi ci sono varie persone (non politici!) che parlano, fanno discorsi, c’è musica, sfilate, tamburi etc. Sono gia due mesi in tutta Israele che dimostriamo. Le più grandi dimostrazioni si tengono a Tel Aviv, ma ce ne sono in tutto il paese, da nord al sud: Gerusalemme, Haifa, Beer Sheva e anche nei centri abitati più piccoli.
Il premier Netanyahu, nell’annunciare la sospensione della riforma, ha dichiarato che i manifestanti sono espressione di una minoranza violenta del paese. Lei si sente parte di una minoranza?
C’è violenza nelle manifestazioni di piazza?
Fino agli ultimi giorni no. Solo all’ultima domenica prima della sospensione dei lavori parlamentari quando è stata organizzata una dimostrazione dalla destra. Sono venuti estremisti, una specie di hooligan violenti e alcuni hanno ferito un giornalista dalla televisione israeliana, poi hanno attaccato un autista arabo a Gerusalemme. A parte questo episodio, le dimostrazioni sono sempre state sostanzialmente pacifiche. Però non sappiamo cosa accadrà in futuro. Abbiamo paura di una “guerra civile fra fratelli”. Siamo un popolo unito con una storia traumatica, ma purtroppo oggi non siamo uniti.
Ora tutto è rimasto congelato fino a Pesach. E dopo? Se il governo tornerà a riproporre la riforma, lei scenderà ancora in piazza?
Come vede il prossimo futuro di Israele?
Siamo un paese forte e un popolo forte che sta passando un periodo molto difficile che ci separa internamente. Spero che lo supereremo. Ci vuole tanta forza e capacità di compromesso, in cui nessuna parte vincerà, ma solo il paese. Ma ci vuole ancora tempo.
I recenti attacchi da Gaza e dal Libano e la morte di un turista italiano secondo lei porteranno meno persone a protestare contro la riforma?
I recenti attacchi da Gaza e dal Libano, e ieri notte anche dalla Siria, non hanno cambiato la voglia di andare avanti contro la riforma. Sabato sera c’erano proteste a Tel Aviv e in tanti altri posti in Israele. Le dimostrazioni sono cominciate con un minuto di silenzio per ricordare le tre persone assassinate: due sorelle inglesi e un turista italiano. A Tel aviv si poteva vedere una grande bandiera d’Italia e una di Inghilterra. Purtroppo non possiamo rinunciare a questa lotta per rimanere un paese democratico, anche quando accadono avvenimenti così tragici e tristi. Speriamo per giorni migliori.
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