Lieberman al timone dell’economia israeliana
Dopo la nascita del governo Bennett-Lapid, è ora di mettersi al lavoro. Riflessi ha provato a immaginare le priorità di cui ha bisogno l’economia israeliana
Nei giorni scorsi il nuovo governo israeliano ha avuto la fiducia del Parlamento e si è messo subito all’opera. Uno dei dicasteri chiave, quello del Tesoro, è andato ad Avigdor Lieberman, leader del partito Israel Beteinu, che raccoglie soprattutto i voti degli immigrati dell’ex Unione sovietica.
Quali sfide attendono Lieberman? Riuscirà a smettere i panni del demagogo nazionalista e indossare quelli del “manager” di un’economia dinamica ma caratterizzata da alcuni squilibri, accentuati dalla pandemia?
Di politiche mirate il paese ha urgente bisogno. Gli organismi economici internazionali, infatti, nei loro esami periodici della situazione del paese esprimono apprezzamento per i punti di forza dell’economia: la crescita elevata del prodotto e la conseguente bassa disoccupazione; la forza del settore hi-tech; l’avanzo di bilancia dei pagamenti e la connessa forza dello shekel. Gli stessi organismi esortano tuttavia le autorità ad affrontare i numerosi squilibri strutturali che affliggono il paese, alcuni dei quali accentuatisi con la pandemia: in primo luogo i divari di istruzione, di reddito e di infrastrutture tra gruppi etnici, che vedono gli ultraortodossi e gli arabi israeliani in posizione arretrata. A questo riguardo, Un aspetto poco noto e paradossale è il “digital divide”: nella “start-up nation”, l’utilizzo di internet da parte delle fasce di popolazione meno istruite è inferiore a quello rilevato per le stesse fasce in altri paesi industriali.
Più in generale, il nodo di fondo dell’economia è rappresentato dall’assenza di ricadute positive dal settore hi-tech al resto dell’economia: le start-up israeliane non crescono (i fondatori vendono appena possono), non sono sorti colossi informatici come Microsoft o Apple che hanno un enorme indotto, il 5% della popolazione dispone di redditi e patrimoni vertiginosi mentre il resto langue o in taluni casi (i haredim) vive di sussistenza. Questo dualismo economico può portare ovviamente instabilità politica e sociale, come si è visto in occasione del recente conflitto di Gaza.
Sul nuovo governo Bennett-Lapid, puoi leggere questo articolo di Claudio Vercelli
Sul nuovo Capo di Stato, puoi leggere l’analisi di Roberto Della Rocca