Credo che la nostra identità abbia influenza su tutto, certo anche sulla professione, perché è una componente fondamentale della personalità di ognuno di noi. Io ho avuto la fortuna enorme di trovare sempre massimo rispetto, attenzione e interesse per l’ebraismo, da cui è derivata, tra l’altro, la totale comprensione per tutte le mie assenze legate allo shabbat e alle festività.

La visita del presidente Mattarella al Tempio maggiore di Roma, nel 2020

Dopo tanti anni, come vedi oggi la nostra Comunità? E in prospettiva?

La nostra comunità a me sembra molto composita e molto viva. Senza dubbio ci sono difficoltà di lungo periodo, aggravate dalla crisi economica e poi dalla pandemia. Dobbiamo purtroppo fare i conti con una decrescita lenta e non inesorabile, forse non pienamente percepita anche dalla società circostante in forza della nostra vitalità, che ci dà una visibilità assolutamente sproporzionata rispetto alle dimensioni demografiche. Penso, in particolare, nella realtà romana, alla nascita di tante sinagoghe di quartiere, che è uno dei frutti di questa vitalità e di una maggiore attenzione per l’osservanza religiosa, maturata dagli ultimi due ventenni del precedente millennio. Il tessuto socio-economico, pur tra tante difficoltà, mi sembra si stia dimostrando anch’esso vitale, soprattutto nella ristorazione: la “piazza” pullulante di bar e ristoranti è un luogo vivo e capace di attrarre un forte afflusso turistico. Lo ripeto: siamo una comunità viva e forte, nonostante le criticità.

In che modo si possono superare queste difficoltà e la decrescita cui accennavi?

la “piazza”, cuore storico dell’ebraismo romano

Do una risposta molto parziale ma sono convinto che sia fondamentale l’accoglienza. Mi rendo conto di toccare un tema molto delicato, ma di fronte ai ghiurim e ai matrimoni misti ci vorrebbe forse una maggiore fiducia nei confronti di chi bussa alle nostre porte o si lega a coniugi ebrei e genera figli sui quali varrebbe la pena scommettere, come in passato.

Tu che suggerimento daresti?

Credo che valga la pena scommettere: io e mio fratello (segretario della comunità), nel nostro piccolo, siamo una scommessa vinta, spero, grazie anche a mia madre, atea ma attenta alla kasherut e alle feste, che a Kippur ha sempre digiunato e continua a farlo, nonostante l’età. Lo stesso rav Di Segni, in uno studio ben documentato, basandosi sui dati forniti dall’archivio storico della comunità, ha dimostrato come tutto sommato il tasso “di resa” del ghiur katan non fosse così disprezzabile, perché diversi figli, diventati adulti, sono rimasti legati alle tradizioni. Insomma, ritengo che una politica accortamente ispirata all’accoglienza possa aiutare a fronteggiare la decrescita cui accennavo: la nostra vitalità culturale e religiosa è la migliore garanzia affinché l’accoglienza non si tramuti in assimilazione, ma piuttosto possa rafforzare la nostra identità.

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