Sukkot, natura e oltre
Perchè l’inizio dell’anno non coincide con l’inizio della letturà della Torà, che avverrà solo alla fine di Sukkot? E perchè leggiamo proprio adesso il Qoeleth?
Sukkot è la festa che ci fa comprendere come l’esistenza umana, breve e spesso faticosa, deve essere orientata verso la gioia e la fiducia nell’Eterno
Pur sollecitati da molteplici aspetti offerti dai nove giorni (in diaspora) della festa di Sukkot, fermiamoci su due domande.
La seconda domanda: perché a Sukkot è abbinata la lettura della meghillat Qohelet, così filosofica, anzi naturalistica, e apparentemente così poco religiosa?
La prima domanda sorge dalla sfasatura tra l’inizio del nuovo anno, rosh chodesh Tishrì che è pure rosh ha-shanà, e l’inizio della nuova lettura della Torà, con Bereshit/Gn 1, che non avviene a capodanno o il primo shabbat di Tishrì ma circa tre settimane dopo. Non sarebbe stato più logico far coincidere i due inizi?
Con questa sfasatura temporale è come se i maestri di Israele avessero voluto marcare e mantenere una precisa distinzione: la temporalità come dimensione naturale, ritmata dal succedersi (pur santificato) dei mesi lunari, e la meta-temporalità dell’ascolto della Torà, che introduce nel corso dell’esistenza umana un plus di senso e di orientamento che la natura non possiede.
Se è intuitivo che la lettura comunitaria chiuda Devarim/Dt 34 e apra Bereshit/Gn 1 senza ‘soluzioni di continuità’, è meno evidente perché ciò non possa o non debba avvenire quando si lascia l’anno vecchio e si apre il nuovo. Invece questo re-inizio avvine alla fine di Sukkot, quasi che la festa della capanne non sia solo una festa di chiusura dei raccolti agricoli ma anche una festa di chiusura di un anno di alleanza, piena in entrambi i casi di sentimenti di gratiudine e di fiducia in Qadosh Barukh Hu.
A questo punto possiamo affrontare anche la seconda domanda: perché a Sukkot, e più precisamente nello shabbat chol ha-mo’ed (che cade durante tale festa) o proprio a Sheminì atzeret, si legge la meghillà, il rotolo di Qohelet? Un’ipotesi è che, in questo scritto (Qohelet è parte dei khetuvim), il versetto 11,2 alluda alla festa delle capanne. Altri ipotizzano che questa lettura, con i suoi toni pessimistico-naturalistici (che sembrano frutto dell’influenza di un certo pensiero ellenistico), sia in sintonia con il senso di precarietà umana di cui è intrisa la mitzwà del risiedere nella sukkà, zikkaron della traversata nel deserto, quando il ritmo desolato e austero della natura veniva spezzato dall’intervento divino (la manna, le quaglie…).