Ricerco le mie radici nella musica
Gabriele Coen, musicista e compositore, racconta la sua passione per il jazz, la musica Klezmer e Leonard Bernstein, alla continua ricerca delle sue origini ebraiche
Gabriele, che effetto hanno avuto i mesi di lockdown sulla tua vena d’artista?
È vero, è da un oltre un anno che tutti viviamo un’esperienza del tutto particolare, che nessuno poteva immaginarsi. Finalmente, anche se non ne siamo ancora fuori, è cambiato l’approccio al problema, e così possiamo tornare a respirare. Quanto a me, io sono malato del mio lavoro, che significa innanzitutto essere a contatto con il pubblico, per cui puoi immaginare quanto abbia influito la pandemia sulla mia vita. In ogni caso, ho cercato di reagire usando il tempo a disposizione. Ho rivisto lavori precedenti, ho studiato, ho immaginato nuovi progetti; insomma, mi sono dedicato a quell’attività di studio e riflessione che nella vita di un musicista a volte, tra spettacoli e tournée, è sacrificata. Da ultimo, questi mesi di riposo forzato mi hanno permesso di completare un brano dedicato a mio padre, Massimo Coen .violinista e compositore scomparso nel 2017.
Nell’ultimo concerto tenuto a Roma, alla Casa del jazz, ti sei esibito assieme ad altri musicisti in un omaggio a Leonard Bernstein, artista a tutto tondo di fama internazionale, la cui ebraicità è una costante nella sua produzione artistica: quanto ha influenzato il tuo percorso?
Ovviamente Bernstein è un modello per tanti artisti. Io ne ho sempre sentito parlare, ma solo di recente mi sono avvicinato a lui, fino a che ho sentito il desiderio di realizzare un omaggio per il centenario dalla sua nascita. Studiando la sua musica e i suoi lavori, ho capito che poteva essere un punto di riferimento per me. Bernstein, infatti, è un crocevia tra musical, jazz, etnica, melodie ebraiche, musica classica e concertistica. Ho scoperto, ad esempio, che West Side Story, cui ho dedicato lo spettacolo a Roma, nella prima progettazione era ambientata nel mondo ebraico di New York.
La traiettoria del tuo percorso di musicista mi sembra tocchi soprattutto questi tre snodi: il Jazz, New York, e il clarinetto: quanto influenza ha la Grande mela, e la sua musica, nella tua idea di artista?
È vero, New York è nel mio immaginario. Da anni ho un progetto artistico per New York che spero finalmente di realizzare: descrivere la città in 10 musiche. È il centro della mia vita, anche se sono stato lì la prima volta abbastanza tardi, nel 2009. Eppure mi ha segnato, se pensi che dopo 2 settimane che ero lì ho firmato il mio primo contratto discografico con la Tzadik di John Zorn, una grande etichetta insomma. New York insomma è una città che adoro e che frequento da anni. Mi attrae soprattutto l’ebraismo diasporico che lì vive e si trasforma continuamente.
A tuo giudizio che rapporto c’è tra musica ed ebraismo?
In generale, è vero, molti artisti sono ebrei, penso ad esempio a Leonard Coen, un altro musicista che molte volte si è ispirati a idee e principi dell’ebraismo nei sui testi. Forse perché la musica è un aspetto fondante dell’ebraismo. Anche per via del divieto di arti figurative, per cui alla fine il suono è un modo privilegiato per avvicinarsi all’eterno. Io l’ho scoperta anche grazie a un libro, “Storia della musica ebraica”, di Avraham Idelshon (Giuntina).
Come rivela il tuo cognome, le tue origini ebraiche sono smaccate. Ce ne vuoi parlare?
Una risposta
Interessante cenno biografico
Simpatica figura
🙂
Quanto a West Side Story peccato non abbia mantenuto la sua prima ambientazione ebraica