Perchè facciamo il Seder di Rosh Ha shanà?
Rav Punturello inaugura su Riflessi la rubrica “Lettere da Sefarad”, dedicata al tema dell’educazione. Cominciamo da Rosh Ha shanà: cosa si può insegnare attraverso i cibi messi sulla tavola all’inizio dell’anno?
Le stesse fonti Talmudiche che, in qualche modo, stabiliscono, l’inizio di questo uso potrebbero apparire in contrasto.
La fonte di questa tradizione, infatti, si trova in due passi diversi del Talmud, che contengono una sola piccola differenza. Nel Talmud Babli Keritut 6a il maestro del III secolo Abaye afferma che “…una volta che è stato detto che i simboli hanno il valore di cosa reale, una persona deve abituarsi a mangiare a Rosh Hashanà zucca, spinaci, datteri…”
In una seconda fonte appare la stessa frase di Abaye con una differenza apparentemente insignificante (Talmud Horayot 12a): “…una volta che è stato detto che i simboli hanno il valore di cosa reale, una persona deve abituarsi a vedere a Rosh Hashanà zucca, spinaci, datteri…”
Mangiare e vedere e simboli come elementi reali. C’è molto da pensare. Ed Abaye vuole che si pensi.
Partiamo dai simboli. I simboli sono elementi reali. La nostra vita è caratterizzata dai simboli ed a volte siamo anche schiavi dei simboli: pensiamo al concetto di “marca”, di moda, di quanto simbolismo esista in questi mondi così caratterizzanti.
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Per questo i maestri ci obbligano ad iniziare l’anno con un gioco di simboli sulla nostra tavola, per fare in modo che la forza del messaggio non sia teorica e passi per una simbologia concreta fatta di cibo ed accompagnata dalla preghiera, dalla invocazione che accompagna il cibo stesso.
In educazione non possono esistere giochi teorici: le teorie lasciate a sé stesse non educano e non hanno nessun valore simbolico. Non possiamo insegnare la simbologia dell’indossare i tefillin al mattino, se alla simbologia non accompagniamo il gesto stesso della mitzvà dei tefillin. Può sembrare una frase banale ma è lì che il Talmud rinforza questa interpretazione quando Abaye afferma che non solo dobbiamo “vedere” i simanim, ma dobbiamo anche “mangiare” i simanim.
Il solo vedere non basta. Un simbolo solamente visto, dopo una generazione si perde. Un simbolo solamente visto non è mai fonte di formazione della persona, al massimo, diventa ricordo di un qualcosa che fu: “…i miei nonni facevano…ma io no…”. Se vogliamo educare una generazione a continuare a “fare” o a cominciare a “fare” con coscienza, cioè ad essere coscientemente ebrei, dobbiamo “mangiare i simanim”. Dobbiamo interiorizzare il simbolo ed il suo significato, dobbiamo fare in modo che il simbolo sia parte integrante di ciò che noi siamo. Ed è interessante che il verbo “mangiare”, in ebraico לאכול, porti con sé le radici dell’inclusione, del rendere qualcosa parte di sé ed a differenza del solo “vedere”: il mangiare implica un coinvolgimento più forte, più consapevole.
Un Rosh Hashanà consapevole implica entrambi gli elementi e con questa consapevolezza a Dio piacendo che finisca l’anno con le sue maledizioni e cominci l’anno con le sue benedizioni.
Una risposta
Grazie Rav, le tue spiegazioni sono sempre originali e coinvolgenti