La notte della salvezza
Con Oshannà Rabbà ci prepariamo a chiudere le feste autunnali, nella speranza che le benedizioni che stiamo per leggere a chiusura del ciclo annuale di lettura della Torà ci accompagnino per tutto il nuovo anno
Al centro della mishmarà di Oshannà rabbà e del suo tikkun abbiamo il libro di Devarim, Deuteronomio.
Se la traduzione greca “seconda Legge” riflette parzialmente il nome dell’ultimo libro della Torà dato dai Maestri, ossia “Mishné’ Torà”, seconda Legge o ripetizione, tuttavia la traduzione esatta di Devarim è “parole”, o meglio i “discorsi” di Mosè alla generazione che sarebbe entrata in Israele.
Dal rimprovero alla preghiera, fino alla profezia elaborata nella cantica di Hazinu (Deut. 31) e la benedizione prima della morte, il profeta Mosè sceglie di comunicare i suoi messaggi per continuare il suo ruolo di Maestro, chiamato per questo Moshe Rabbenu.
Un padre ed un Maestro desidera benedire i figli con la Parashà di Ve-Zot ha berachà, (Deut. 33-34) che viene letta il giorno di Simchà Torà.
Per questo la mishmarà è considerata la prova generale per i chazanim che cantano in pubblico per la prima volta la loro parashà, sia pure dal testo punteggiato e non dal Sefer Torà.
Nel testo del tiqqun abbiamo quindi sia Ve-Zot ha berachà che Bereshit che rappresentano la tradizione delle due Parashot:
la benedizione ai figli e nipoti e la Creazione del mondo; non a caso una storia capovolta, l’uomo creato dal Signore per dominare la Creazione, non per sfruttarla, ma per portare la santità divina nel mondo.
Occorre sempre operare nella nostra vita portando a tutti berachà e creazione umana che perfeziona il mondo.
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