Aprirsi al mondo ben radicati nella propria identità
Rav Punturello ci parla dell’ebraismo italiano, e della necessità di preservarne tradizione e identità, accogliendo chi è in cerca delle proprie radici
Caro Pierpaolo, la tua figura di rabbino, nel panorama italiano, è particolare: ebreo del sud, oggi sei “un cervello in fuga”. Da Madrid, come vedi lo stato di salute dell’ebraismo italiano?
Preferirei parlare di ebraismo europeo. Mi sembra infatti che sia l’intera società europea in crisi di identità. In generale, mi sembra che noi europei, davanti a tutti i cambiamenti di questi ultimi decenni, fatichiamo a trovare il nostro posto nel mondo; conseguentemente, anche gli ebrei europei soffrono questa crisi.
Nel tuo percorso c’è naturalmente Napoli. Cosa significa essere ebrei in una piccola comunità incastonata in una della più grandi città del Mediterraneo?
Nel tuo libro, “Napoli, via Cappella vecchia 31” (ed. Belforte, 2018), componi attraverso 9 racconti un caleidoscopio di personaggi diversi. Li caratterizza un certo grado di “resilienza”. Quante pagine sono state ispirate dalla tua biografia?
Nel tuo libro scorre anche un altro tema: quello del diverso modi di declinare la propria identità ebraica. Più di un personaggio rivendica un’appartenenza che non passa per la matrice religiosa, ma per un’identità culturale e familiare. Nella tua esperienza, l’ebraismo italiano quale modello segue?
Oggi a me sembra che l’ebraismo italiano, nell’epoca dell’interconnessione, sia molto simile a quello mondiale. Un tempo era diverso, e ci sono moltissimi maestri italiani che venivano studiati nel mondo, così come erano molti gli ebrei che arrivavano in Italia da ogni parte d’Europa per studiare. Oggi, come ti dicevo, prevale il modello religioso, in cui naturalmente mi riconosco, però forse perdere la nostra tradizione, quella in cui, nella stessa comunità, convivevano modelli diversi – quello religioso, quello laico, quello attento alla cultura del proprio popolo, quello più distante – è un peccato e un pericolo. Mettiamola così: se rinunciamo a coltivare, proteggere riconoscere la periferia del nostro mondo, allora saremo prima o poi destinati a mettere a rischio anche il centro. Mi sembra che l’ebraismo italiano non sia molto consapevole di questo rischio. A volte mi sembra che le polemiche che animano il nostro mondo si riducono allo scontro laico/religioso, in cui tutti vengono incasellati e si incasellano; è, in fondo, una posizione molto difensiva.
Nel tuo curriculum c’è stato anche l’impegno per il “progetto Sud”. Ci puoi descrivere di cosa si trattava?
Anche il tuo approdo a Madrid si inserisce in questo percorso di riscoperta e difesa delle radici, vista la storia degli ebrei spagnoli. Ci puoi dire di che ti occupi, e come sono gli ebrei spagnoli, rispetto a noi italiani?
La guerra di Hamas contro Israele come è stata descritta dai media spagnoli?
Mah, vedi, all’inizio c’è stato il rischio di una lettura unidirezionale a favore di Hamas. La cosa però si è interrotta, sia perché in Spagna, che ha delle enclave in Marocco, c’è molta più consapevolezza del rischio del radicalismo islamico, e sia perché i partiti di destra, che a differenza di quelli italiani non hanno scheletri nell’armadio sul fronte dell’antisemitismo, si sono subito mostrati solidali con Israele.
Tornerai in Italia?
Onestamente, in questo momento credo di no, semplicemente perché credo che un ebreo, e in particolare un rav, debba vivere esperienze all’estero. Oggi sono a Madrid e ci sto benissimo grazie a Dio, in passato sono stato in Italia, e prima ancora in Israele, cosa avverrà nel futuro non lo so, ma non mi stupirei a vedermi in qualche altra parte nel mondo. In generale, credo che un rav non sia un factotum, e che io mi senta portato a fare l’educatore ma non, ad esempio, il cantore. E poi c’è da valutare un altro aspetto: come padre, se penso ai miei figli, nonostante parlino correntemente italiano, non credo che potrebbero vivere in Italia.
Questa è l’undicesima tappa del nostro viaggio nel rabbinato italiano.
Per leggere le altre tappe del viaggio: Rav Arbib, rav Della Rocca, rav Momigliano (qui e qui), Rav Spagnoletto, Rav Dayan (qui e qui), Rav Di Porto, rav Piperno, rav Sermoneta, rav Somekh, e Rav Hazan
Leggi anche: viaggio nella comunità ebraica di Napoli (qui e qui),
Una risposta
Il discorso del rav Punturello sulla eccessiva semplificazione dell’identità ebraica oggi in Italia e’ certamente puntuale…
Coglie il rischio …di perdere la “ periferia”
Peccato l’ottimo rav non pensi possibile tornare in Italia: mi piacerebbe capire meglio il perché…
Perché ?