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Giovani al servizio di Israele

Pochi giorni fa 500 giovani israeliani hanno giurato di servire il paese in una cerimonia del tutto particolare. Tra di loro, anche un giovane ebreo italiano

Spesso sentiamo ripetere frasi tipo: “un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”; “bisogna guardare al futuro ma con gli occhi rivolti al passato”. Cosa significano queste parole? Sembrano frasi fatte, anche fin troppo banali. Sono forse aforismi utili solo per qualche citazione letteraria? O non sono piuttosto insegnamenti?

Qui e sotto: alcune immagini della cerimonia

C’è un luogo dove queste parole trovano il loro significato più profondo, un luogo nel quale l’antico si lega e si rinnova nel presente collegando le generazioni di ieri con quelle di domani, un luogo in cui queste parole diventano comportamenti e modo di vivere e non solo slogan.

Questo luogo è Israele, al cui interno vi è Gerusalemme, dentro la quale c’è la Città vecchia, dentro la quale c’è il Kotel HaMa’aravi (il Muro occidentale dell’antico Tempio), dentro il quale sorgeva il Santuario, dentro il quale vi era il Kodesh HaKodashim. Proprio come in un gioco di scatole cinesi, inoltrarsi in Israele significa penetrare sempre più in una dimensione meta storica se non addirittura ultra storica; significa vivere esperienze meta temporali se non addirittura ultra temporali; significa far rivivere gli eventi millenari della storia ebraica dando loro una dimensione e un significato di attualità.

Questo è successo solo pochi giorni fa in due eventi diversi eppure collegati.

Il primo evento è stata la celebrazione del digiuno del 10 di Tevet (lo scorso martedì 3 gennaio) con le tefillot davanti al Kotel, per ricordare i drammatici avvenimenti che portarono prima alla distruzione del Santuario (di cui rimane simbolo il Muro) e poi all’esilio del popolo ebraico.

Il secondo evento, celebrato il giorno dopo (mercoledì 4 gennaio) sempre di fronte al Kotel, è stato il giuramento di fedeltà di un ristretto numero di soldati dell’esercito di Israele. Una cerimonia che è un privilegio ed un onore, ma anche una grande responsabilità, che viene concessa solo ai soldati ‘combattenti’. Tra quei 500 soldati, che formano l’èlite di zahal, vi era un giovane ebreo romano, Gavriel Kahn (figlio dell’ex direttore di Shalom e di Eleonora Di Porto, cassiera della Comunità ebraica di Roma), che dopo aver completato in Israele gli studi liceali, ha deciso di fare l’alya e, superata una durissima selezione, di compiere il servizio militare come paracadutista.

E’ stata una cerimonia lontana dalla formalità, dalla disciplina e dalla sincronia dei movimenti tipici dei soldati americani o britannici: non c’è stata la parata, né la banda musicale (solo alcuni brani registrati).

Ai giovani soldati è stato consegnato il loro fucile personale e una copia del Tanach, a sottolineare che l’etica che insegna la Torà li dovrà sempre guidare nella difesa dei confini e nella lotta contro i nostri nemici, ricordando a noi tutti che la forza dell’esercito di Israele non è solo nella preparazione e nelle armi ma nell’aiuto che viene dallo Shomer degli shomrim.

Preceduto dal ricordo di tutti i soldati deceduti per la difesa dello Stato di Israele, i giovani soldati hanno quindi urlato il loro giuramento, a cui è seguita l’esecuzione dell’Hatikvà, cantata prima dai soli soldati e poi insieme a tutti i familiari e agli amici che assistevano alla cerimonia.

Una cerimonia senza orpelli, essenziale, diretta perché davanti a quelle pietre millenarie non ci può essere spazio per nessuna spettacolarizzazione, ma solo la consapevolezza di affidare ad una nuova generazione la responsabilità di difendere il nostro diritto ad essere ebrei liberi.

8 risposte

  1. Una cerimonia molto toccante ,in un luogo ricco di storia che ci torna in mente e ci emoziona , ogni volta che siamo lì
    Bravo GAVRIEL, la tua scelta è sicuramente una scelta che ti fa e ti farà onore 👏👏👏

  2. Era impressionante come da piccole comunita siano nella stessa brigata un Kahn nipote del compianto Rav Isidoro di Napoli ed un Nacson con il nonno nativo di Trieste che si e ‘ commosso sentendo parlare italiano.
    Israele costituisce il nostro presente e futuro .INOLTRE LA KEDUSHA DI SEI KOHANIM ITALIANI
    RAV UMBERTO PIPERNO

  3. Grazie x aver condiviso una così grande emozione della famiglia kajon, alla quale vi chiedo di portare il mio abbraccio

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